Il filosofo e il
presidente: potrebbe
essere il titolo di un racconto o di un romanzo: lo è invece di una cronaca
d’attualità. Il filosofo tedesco è sulla soglia dei novant’anni; il presidente
francese su quella dei quaranta. Il mezzo secolo anagrafico che li divide si
allunga se lo si calcola in tempi politici. Tra i due personaggi, tra Jürgen
Habermas e Emmanuel Macron, in apparenza tanto diversi, e non soltanto per
l’età, è sbocciato quello che sul terreno sentimentale chiameremmo un idillio.
Una reciproca attrazione politica, disinteressata e singolare. Habermas è uno
degli ultimi rappresentanti della corrente sociologica e filosofica nota come
“Scuola di Francoforte”. Con lontane e dimenticate origini di ispirazione
marxista. Quel che resta rintracciabile della corrente dopo le nebbie
ideologiche del Novecento è la fedeltà a una critica della società presente, di
cui Habermas come filosofo è una delle grandi espressioni. Il ritratto di
Emmanuel Macron è ancora incompleto: sarà il futuro a rivelare l’autentica
impronta del personaggio. Il precipitoso successo e l’intensità delle
esperienze stupiscono vista la breve biografia: autore di romanzi rimasti nel
cassetto; interessato alla matematica e all’economia e anche animato da
ambizioni filosofiche che non gli hanno evitato di essere respinto all’esame
d’ammissione alla Scuola normale superiore (dove hanno studiato quattro Premi
Nobel); diplomato tuttavia all’Ena, dove si formano tecnocrati, ministri e
presidenti, funzionari della Banca Rothschild; consigliere del presidente
socialista e poi suo ministro dell’economia; capo dello Stato eletto al
suffragio universale. Il Cv di Macron è ricco di esperienze che lo hanno
condotto a rifiutare di essere classificato di destra o di sinistra.
Dopo avere ascoltato
Macron, l’autore dell’”Etica del discorso” lo ha definito un personaggio
affascinante, con un’aspirazione finora non espressa, non rappresentata nel
nostro sistema di partiti. Sistema in cui figurano il neoliberalismo centrista,
l’anticapitalismo dei nazionalisti di sinistra, e l’ideologia identitaria dei
populisti di destra, nel quale il presidente francese, secondo il filosofo
tedesco, ha introdotto una nuova dimensione: pur essendo favorevole al
mondialismo, Macron vuole al tempo stesso far progredire l’integrazione
europea, senza perdere di vista i danni sociali e le distruzioni di un
capitalismo scatenato. La seduzione ha funzionato nei due sensi. Il presidente
francese ha rivelato che il suo disinteresse per noti intellettuali francesi
come Régis Debray, Michel Onfray o Emmanuel Todd, sovranisti a vario livello, e
ha manifestato la sua preferenza per Jürgen Habermas, personaggio a suo (e a
nostro) avviso di ben altro spessore. Non solo per i meriti e titoli
accademici, ma perché è il filosofo di un’Europa ideale. Citandolo come punto di
riferimento il presidente francese si iscrive in una prospettiva federalista
europea evitando di usare il termine. È ancora impigliato nella nazione di
stampo francese di cui è il primo cittadino. Anima però un progetto in cui si
intravede lo Stato federale. Non lo cita. Ma lo disegna quando propone nella
zona euro un esecutivo per dirigere, un bilancio per agire e un parlamento per
controllare. Habermas è sedotto
da questi propositi, anche se elencati in una situazione che non offre al
momento validi interlocutori a Macron. È come se fossero rivolti a un grande
vuoto. L’Europa appare infatti più in disfacimento che ansiosa di integrarsi.
L’anziano filosofo sembra così diventato il solo interlocutore del presidente
francese. Un partner prestigioso, con una forte influenza intellettuale.
Habermas è il difensore del concetto di patriottismo costituzionale, che
cancella le frontiere, i nazionalismi, le differenze linguistiche ed etniche.
Lo propone ai tedeschi ma è quello che dovrebbe essere il patriottismo europeo.
Macron, il suo leader europeo preferito, non lo propone apertamente ai
francesi. Lui è prigioniero del potere. E Habermas è appagato da quel che si
intravede nei suoi discorsi. Così il filosofo e il presidente disegnano un
Europa ideale che per ora non ha un futuro.
Bernardo
Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso - 5
novembre 2017 -
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