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martedì 7 novembre 2017

Lo Sapevate Che: E poi smettiamo di essere supereroi...



Nella Vita Di Un Genitore c’è il tempo dell’onnipotenza. Inizia nel momento stesso della nascita del proprio figlio. “Non saprei badare a un cucciolo di cane, come pensano che possa prendermi cura di un bebè?”, mi domandai ritrovandomi tra le braccia il primogenito neonato, atterrita e incredula che una creatura così compiuta e bisognosa potesse essere uscita da me. Quella creatura che solitamente è ben più coriacea di quanto non ci appaia, evolve, impara a camminare, a parlare, a interagire con noi che, da dispensatori di servizi primari, diventiamo supereroi. Indipendente dai nostri reali meriti e talenti, per lei siamo l’alfa e l’omega, il centro esatto dell’universo, l’unica normalità possibile, la soluzione a qualsiasi problema, la soddisfazione di ogni languore. Possiamo inciampare, sbagliare, combinare disastri ma il nostro bambino continuerà a credere ciecamente in noi, perché siamo l’unico fato che abbia mai conosciuto. C’è qualcosa di struggente in quella fiducia infantile piena e totale. C’è qualcosa di terrificante e appagante nel ruolo di atro. C’è qualcosa, per fortuna, di effimero e caduco in questa relazione sublime e insostenibile. Un giorno infatti quell’individuo tenero paffuto e in adorazione, ci guarda in tralice e sbuffa. Non è possibile, ci deve essere un errore, forse non si sente molto bene. Ci stupiamo, illudendoci che niente sia cambiato. Il giorno dopo si ritrae quando lo abbracciamo, quello dopo ancora esclama: “Faccio da solo”, quello successivo ci ritiene dei falliti. Il piedistallo genitoriale comincia a scricchiolare con la pubertà e si schianta al suolo in mille pezzi con l’adolescenza: in un battito di ciglia il re è nudo, l’astro si è spento, il supereroe è un patetico tizio di mezza età in calzamaglia. Un collega, quattro volte padre, un giorno mi disse: “Abbiamo voluto tanti figli così ce n’è sempre almeno uno che non è orribile con noi genitori”. “Avete voglia di venire a vedere una mostra con me?”, chiedo, speranzosa di sabato pomeriggio. “Ehm, grazie, mi piacerebbe ma purtroppo devo uscire con i miei amici, chattare con il Tennesse, allacciarmi le scarpe, guardare intensamente il soffitto”, risponde senza vergogna il quattrodicenne. “Grazie, ma devo ripassare la classifica del campionato di serie A, B e C1”, replica l’undicenne senza distogliere lo sguardo dal suo giornale di riferimento, incidentalmente rosa. “Quando hai finito, magari?” insisto. “No, devo studiare le formazioni della Juve dal 1980 a oggi”. Mi rivolgo al più piccolo, sette anni, il candore dei bambini temperato dal cinismo pragmatico dei terzogeniti. Sgrana i suoi occhi fondi, incredulo. “Tu e io e basta?” domanda sospettoso. “Sì, solo noi due. Ti va?”. Si scioglie in un sorriso sgangherato e irresistibile. “Mamma, spacchi!”. L’entusiasmo di un sì mi fa soprassedere alle aberrazioni del suo eloquio, mutato dai fratelli. Esploriamo ancora il mondo per mano, felici di ritrovarci accanto, necessari l’uno all’atra, simbiotici, ancora per qualche anno. Lo scrittore Mohsin Hamid, nel suo struggente Exit West, che parla di amori e migrazioni, scrive, riferendosi a un padre: “Era arrivato a quel momento della vita in cui un genitore sa che, nel caso di un’inondazione, farebbe meglio a lasciar andare il figlio, al contrario di quello che gli diceva l’istinto quando era più giovane, perché trattenendolo non lo proteggerebbe, ma lo tirerebbe giù, rischiando di farlo affogare, perché ormai il figlio è più forte dei genitori…”. Tutto finisce, anche il tempo dell’onnipotenza. Godiamocelo finché dura e impariamo a smettere i panni di superman in tempo. La vita del supereroe alla lunga può essere massacrante per noi e per loro. E forse a un certo punto, tornare irresponsabili ha anche qualche vantaggio.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 4 novembre 2017 -

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