L’insostenibile leggerezza del
benessere ha trasformato il cibo in una merce. Gli ha tolto quella sacralità
che una volta era legata alla scarsità. Nella società dell’abbondanza quel che
per i nostri nonni era una benedizione oggi ha perso ogni valore che non sia
dietetico o edonistico o salutistico. Forse anche per questo sprechiamo
alimenti con tanta superficialità. Secondo una recentissima stima del Wwf, ogni anno un terzo delle derrate prodotte
nel mondo finisce nella pattumiera. Con quel che gettiamo via potremmo
tranquillamente sfamare quegli ottocento e passa milioni di persone che non
arrivano a mettere insieme un pasto. E potremmo persino far fronte
all’incremento demografico che incombe sul futuro del Pianeta. Delle ragioni di
questa mutazione antropologica si è parlato nei giorni scorsi a Noto, nel corso
dell’interessantissimo convegno Il sacro pasto. Le tavole degli uomini e degli dèi, organizzato dall’antropologo
Ignazio Buttitta e dalla Soprintendenza ai Beni culturali di Siracusa, Le
civiltà che ci hanno preceduti scandalizzavano gli elementi della sussistenza.
Pane, grano, vino, olio, carne. Per non dire di nostra sora acqua e di francescana memoria. Era, di fatto, una
certificazione religiosa. Una denominazione di origine consacrata. Ni, che della
tracciabilità abbiamo invece svuotato il cibo di ogni significato simbolico, trascendente,
collettivo. Forse anche per questo diventiamo sempre meno solidali. E facciamo
sempre più fatica a costruire comunione e comunità. Il risultato è che abbiamo
sostituito l’etica con la dietetica e il dio con il bio.
Marino Niola – Miti D’Oggi – Il Venerdì di La Repubblica – 3
novembre 2017 -
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