Altro che spedizioni spaziali, le
avventure degli scienziati esploratori settecenteschi surclassano quelle degli
astronauti, per emozioni, drammi, scoperte. Almeno questo viene da pensare
leggendo in Florilegium (Einaudi) la
storia del botanico inglese Joseph Banks (1743-1820) e dei suoi colleghi
scienziati e artisti, tutti poco più che ventenni, che parteciparono alla prima
spedizione di James Cook, in Oceania, fra il 1768 e il 1771. “Fu un’epoca di
esplorazioni che ampliarono enormemente la visione naturalistica del monto”
dice Chiara Nepi, curatrice della sezione di Botanica del Museo di storia
naturale di Firenze, “e Banks fu molto importante perché, ricco di famiglia,
preparò a sue spese una spedizione scientifica di alta qualità: coinvolse, tra
gli altri, il botanico svedese Daniel Solander, che aveva lavorato con Linneo,
e il pittore scozzese Sydney Parkinson, che realizzò bellissime tavole botaniche
ma non rivide più la sua patria, morendo di febbri a 26 anni, dopo la tappa
finale della spedizione in Indonesia”. Naturalmente lo scopo principale delle
spedizioni non era ampliare la conoscenza. “In questo caso la ragione ufficiale
era osservare il transito di Venere sul disco solare da Tahiti, per migliorare
le tavole nautiche. Il vero scopo era però prendere possesso per la Corona
della Terra Australis Incognita, cioè l’Australia, intravista un secolo prima
da navigatori olandesi. Già che c’era, la marina si portava dietro specialisti
per studiare popoli e natura locali, anche in vista dello sfruttamento di
quelle terre”. Banks, per esempio segnalò l’ala produttività dell’albero del
pane di Tahiti. Così, vent’anni dopo, il veliero Bounty fu inviato in Polinesia
per trasferirne alcune piante nei Caraibi, come cibo per gli schiavi. E il
tutto finì con il più famoso ammutinamento della storia. Ma l’albero del pane
fu solo una delle 3.600 specie di cui Banks riportò campioni in Inghilterra,
prelevandoli a Madera, in Brasile, Terra del Fuoco, Polinesia, Nuova Zelanda e
Australia: 1.300 erano ancora sconosciute in Europa e per classificarle si
crearono 110 nuovi generi. Parkinson invece realizzò quasi 2.400 disegni di
piante e animali. Al ritorno l’enorme mole di materiale fu messa a disposizione
degli studiosi e, dai disegni di Parkinson, vennero realizzate 600 incisioni.
Avrebbero dovuto entrare in un’opera in q4 volumi, il Florilegium, che però non fu mai realizzata: rovesci finanziari
resero Banks meno munifico, mentre, con il passare del tempo, la novità delle
sue scoperte si affievoliva. Dopo la sua morte il materiale finì al Museo di
Storia naturale di Londra, dimenticato. Fu ripreso solo nel 1990: vi si sono
dedicati il botanico David Mabberley, che nel Florilegium ora in Libreria commenta tutte le specie illustrate, lo
storico dell’arte Mel Gooding, che ha scritto l’introduzione del libro, Joseph
Studholme, che ha raccontato come si è arrivati a recupero e stampa delle
tavole originali, con l’aiuto dell’esperto di incisione antiche Edward Egerton
– Williams. Così, finalmente, seppure in versione ridotta, il sogno di Banks si
è avverato.
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 10
novembre 2017-
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