Araçà piranga, cereja do Rio Grande,
grumixama, ubajai: ma di che stiamo parlando? Sono frutti del genere Eugenia, 400 specie solo in Brasile, che
potrebbero diventare le nuove bacche di goji, superfrutti consumati per le
grandi virtù salutari. Finora, fra le Eugenia,
erano note solo le qualità del baguaçu ( Eugenia
umbelliflora). Che contiene sette volte più antiossidanti delle fragole e
ha proprietà antibatteriche. Ma ora Pedro Rosalen, biochimico della Università
di Campinas in Brasile, ha scoperto che, appunto, anche la cereja do Rio Grande
(Eugenia involucrata), la gramixama (Eugenia brasiliensis) e la ubajai (Eugenia myrcianthes), contengono
vitamine, polifenoli e antocianine, in quantità anche superiori ai mirtilli.
Per non dire dei poteri della star del gruppo. La araçà piranga (Eugenia leitonii), in grado di bloccare
le infiammazioni. Ma, colpo di scena, proprio questa pianta è in pericolo: vive
nelle foreste atlantiche brasiliane, ormai ridotte a pochi scampoli. Rosalen
vuole quindi raccoglierne i semi e coltivarla su larga scala, prima che si
estingua. “Questo passaggio è però sempre incerto” avverte Edgardo Giordani,
docente di frutticultura all’Università di Firenze. “Alcune specie selvatiche
non si prestano alla coltivazione intensiva, altre hanno alberi troppo grandi o
frutti troppo piccoli, che rendono la raccolta molto costosa. E se poi la loro
frutta non matura quando viene raccolta acerba, o se marcisce troppo in fretta
quando matura, non si riesce a commercializzarla”. Anche le promesse
nutraceutiche non è detto che siano sempre mantenute quando le piante vengono
coltivate. “Queste usano gli antiossidanti, che spesso hanno un sapore aspro,
per proteggere i frutti da stress come siccità o insetti, ma proprio per questa
ragione i frutti selvatici non di rado sono immangiabili. Perciò, nel tempo, li
abbiamo selezionati per renderli più grandi e dolci, anche se meno “curativi”.
E poi la stessa coltivazione, riducendo gli stress della pianta, può far calare
gli antiossidanti”. Eugenia a parte, viene da chiedersi quanti superfrutti ci
siano ancora da scoprire. “Ai Tropici ci sono migliaia di frutti, in gran parte
non testati per le qualità nutraceutiche, perché è solo da poco che le si
apprezza. Noi all’Università di Firenze stiamo studiando specie, come la guava
cilena (Ugni molinae), che ha
proprietà vasodilatatorie, o l’argentino calafate (Berberis microphylla), ricco di antiossidanti e antibatterici. Ma
in realtà non serve andare lontano: il mirtillo dell’Appennino, per esempio, ha
un contenuto di vitamine e polifenoli maggiore di quello del mirtillo americano
gigante, il più coltivato. Per non parlare delle tante specie dimenticate: chi
mangia più l’azzeruolo (Crataegusazarolus)?
È una gustosa piccola mela che straccia le Golden per antiossidanti, ed è anche
diuretica e ipotensiva”. E non cresce nelle foreste del Brasile, ma sulle
nostre colline.
Alessandro Codegoni – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica –
17 novembre 2017 -
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