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sabato 14 giugno 2014

Lo Sapevate Che: Legge e Libertà...


Quel taglio Rai è incostituzionale

Il prelievo di 150 milioni sul canone non è legittimo.
Giusto imporre una cura dimagrante al ventre molle dello Stato, ma il modo scelto non può andare bene.
Perché nello Stato di diritto sono i mezzi che giustificano il fine

Di chi è la Rai? Del suo presidente Tarantola? Del direttore generale Gubitosi, scelto anche lui dal (fu) premier Monti? E’ del grillino Fico, che guida la commissione parlamentare d’indirizzo? E’ del governo Renzi, che guida il Parlamento? No, La Rai è di tutti. E’ mia, è tua, è pure di chi non ha (beato lui) un televisore sempre acceso nel salotto. Perché svolge un servizio pubblico, nell’interesse generale. L’interesse a ricevere un’informazione completa, per quanto possibile obiettiva, in grado di promuovere lo sviluppo culturale del Paese. Le emittenti private possono anche farlo, ma non è questa la loro specifica missione. L’imprenditoria televisiva tende a fare cassa, non beneficienza.
Giusto Così, Ci Mancherebbe. Ma allora è ingiusto il decreto Irpef che mette le mani sulla Rai. Di più: è incostituzionale. Lo scrivo qui dopo averlo scritto in un parere, che mi era stato chiesto dal sindacato autonomo dei lavoratori Rai. Ho preso tempo prima d’accettarlo: volevo capire quanto fosse fondata la questione. Anche se loro erano (sono) molto preoccupati: ci vanno di mezzo migliaia di posti di lavoro, ci va di mezzo Rai Way (l’azienda che permette la diffusione del segnale), ci vanno di mezzo le sedi regionali della Rai. E hanno ragione. Non solo in via di fatto, anche in punto di diritto.
Con quali argomenti? Perché il servizio pubblico ha senso soltanto se rimane indipendente dal governo.  Altrimenti ci regalerà un’informazione partigiana, e allora tanto varrebbe spegnerlo, di tv faziose ne abbiamo già abbastanza. E’ questo l’imperativo dettato in una sentenza storica della Consulta (n.225 del 1974), benché strada facendo ce ne siamo un po’ dimenticati.  Per dirne una, nel 2004 la legge Gasparri ha permesso al governo di nominare due membri su nove del cda Rai. Sarebbe stato troppo anche uno soltanto: non si può essere quasi indipendenti, così come non si può avere una quasi gravidanza. Però al contempo non può darsi alcuna indipendenza progettuale senza indipendenza economica. Se i quattrini per la cena devi chiederli a tua suocera, sarà lei a decidere il menù.
Ecco, il canone rappresenta lo strumento per garantir l’indipendenza della Rai. Non può disporne quest’ultima a fini diversi dall’attività televisiva (lo vieta il testo unico che disciplina la materia), né tantomeno può disporne il potere esecutivo. Perché è una “tassa di scopo”, come ha stabilito – di nuovo- la Consulta (sentenza n. 284 del 2002). Tal quale l’Iscop, che serve a finanziare opere pubbliche da parte dei Comuni. E infatti se il Comune non realizza l’opera nei due anni successivi, ha l’obbligo di rimborsare i cittadini. Da qui un secondo profilo d’incostituzionalità del decreto Irpef, che sequestra 150 milioni dal gettito del canone. Quel decreto con una mano lede la Rai, con l’altra mano inganna gli italiani. Perché noi paghiamo il canone per garantire l’indipendenza del servizio pubblico, così ci hanno sempre raccontato. Ma se il governo lo utilizza per costruire asili o per comprare aerei da combattimento, seppure lo destina per finanziare i mitici caposaldo della Costituzione: la lealtà fiscale. Che vale per i contribuenti, ma ugualmente vale per lo Stato.
Sicché In Ultimo sfuma la stessa razionalità dell’imposta. E sfuma inoltre la progressività del sistema tributario, dato che il canone ha un importo fisso, indifferente ai portafogli individuali. Infine, sfuma il  principio d’uguaglianza fra settore pubblico e privato. Nel 2012 il tribunale costituzionale annullò il contributo di solidarietà sui redditi più alti, perché era a carico dei soli dipendenti statali; questa volta il prelievo colpisce la Rai, lasciando indenni Mediaset, Sky, la 7.Ci risiamo. Però errare è umano, perseverare è diabolico. Renzi ha ragione a imporre una cura dimagrante al ventre molle dello Stato. Il problema non è il “se” ma il “come”. In politica il fine giustifica i mezzi, diceva Machiavelli. Tuttavia in uno Stato di diritto sono i mezzi che giustificano il fine.
Michele Ainis – L’Espresso – 12 giugno 2014


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