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domenica 8 giugno 2014

Lo Sapevate Che: L'antitaliano....




Attenti a quello che dice il pentito

Camorristi come Antonio Iovine sanno quali corde toccare quando si decidono a parlare. Sta a noi fare la tara. Ma ci sono pure giornali dove sono i boss a dettare la linea editoriale

So benissimo di quali delitti mi sono macchiato. Sto spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile”, dice Antonio Jovine, boss dei Casalesi ora collaboratore di giustizia. Quello che sta succedendo in questi giorni, in queste ore, benché sembri  una cosa semplicissima, perfino scontata, è in realtà il racconto più difficile perché nelle parole di Antonio Jovine trova spazio qualsiasi cosa accaduta e può essere allo stesso tempo, qualsiasi dettaglio. Questa collaborazione è un miracolo dei Pm Antonello Ardituro e Cesare Sirignano e di tutta la Dda di Napoli che ora sta gestendo una materia incandescente. Potrà far saltare molti equilibri politici, imprenditoriali, economici ancor prima che le dichiarazioni di Jovine siano passate all’attento vaglio della magistratura, ancor prima che si possa dare effettiva rilevanza penale a ogni singola affermazione.
Antonio Jovine ci sta raccontando uno spaccato di paese. Uno spaccato, certo, e quindi non il paese nella sua interezza, eppure quello spaccato ci dice moltissimo e getta luce su tutto il resto, su tutto ciò che sembra lontano, lontanissimo dalle logiche criminali. Ci dice quali erano – e sono – le linee guida per truccare e aggiudicarsi appalti. Ci dice come venivano – e vengono – trovate alleanze e disponibilità all’interno delle istituzioni. Ci dice come sia stato possibile vivere tanto a lungo in latitanza, come veniva oliata la macchina delle coperture. Ci dice quanto abbiamo sempre ipotizzato, quanto eravamo certi accadesse.
Ma Sentirlo Dalla Viva Voce di un capo, ha tutt’altro impatto. Ed è qui che stampa e opinione pubblica devono calibrare il proprio ascolto, modulare il proprio orecchio, settarlo su un’impostazione altra. I collaboratori di giustizia, soprattutto quando hanno vissuto in latitanza per così tanto tempo, come è accaduto ad Antonio Jovine, hanno voci incredibilmente sibilline perché sanno esattamente quali corde toccare e come farlo. E se la magistratura è ben accorta e pronta a tutto questo, siamo certamente noi i più esposti. Siamo noi a dover fare la tara e a contestualizzare ogni singola affermazione. Noi che scriviamo e voi che leggete. I rapporti tra stampa e criminalità organizzata sono rapporti saldissimi, rapporti che negli anni sono cresciuti, si sono rotti perché si costituissero nuovi canali di comunicazione. Una parte della stampa locale campana è stata ed è a disposizione dei clan, più o meno consapevolmente, in materia più o meno palese. L’editore di due testate locali, il “Corriere di Caserta” e “Cronache di Napoli”, Maurizio Clemente, è stato condannato per estorsione a mezzo stampa, cioè minacciava di delegittimare attraverso le pagine dei suoi giornali chi non avesse pagato per evitarlo. Su questi giornali la camorra appare spesso come un’organizzazione colma di onore e i boss uomini pieni di fascino. Titoli che avreste potuto leggere sono “Don Diana era un camorrista” e “Nunzio De Falco re degli sciupa femmine”: Nunzio De Falco, condannato come mandante dell’omicidio di Don Diana. Il messaggio che, tramite questi quotidiani, negli anni, si è fatto passare, è chiaro: nessuno può schierarsi contro la camorra, chi lo fa ha sempre un interesse personale.
In Questo Contesto va osservata e interpretata la telefonata che Antonio Jovine e Michele Zagaria fecero nel 1998 a un giornalista del “Corriere di Caserta” che aveva ipotizzato, dopo l’arresto di Francesco Schiavone “Sandokan”, problemi di successione tra Jovine e Zagaria. L’atteggiamento e i toni sono incredibili: sembra che lo considerino un quotidiano a loro disposizione e di conseguenza possano, senza alcun timore, chiamare il giornalista e far presente che quanto scriveva era falso. Che doveva correggere il tiro, che in quel modo creava problemi alle famiglie. Come se dettassero loro la linea editoriale, chiedevano quindi di riportare le notizie giuste (secondo loro) e non le interpretazioni individuali. Addirittura hanno proposto di far andare i loro fratelli il giorno dopo in redazione per confermare che fossero davvero loro ad avanzare le richieste: non temevano, evidentemente, alcuna denuncia o possibile intervento della polizia. Questo canale di interlocuzione alcuni quotidiani locali lo hanno sempre tenuto vivo. Hanno sempre fatto in modo che restasse aperto, operativo, efficace. Non sarebbe potuta accadere la stessa cosa a un giornalista di una testata nazionale o anche di una testata locale che non avesse mostrato stoicamente con titoli, con articoli, con editoriali, tanta disponibilità nei riguardi dei clan.
Post Scriptum: i Nuvoletta non avrebbero mai telefonato a Giancarlo Siani per dirgli di correggere quanto aveva scritto. Non lo hanno fatto.
Roberto Saviano – L’Espresso – 12 giugno 2014

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