Attenti a quello che
dice il pentito
Camorristi come Antonio
Iovine sanno quali corde toccare quando si decidono a parlare. Sta a noi fare
la tara. Ma ci sono pure giornali dove sono i boss a dettare la linea
editoriale
So benissimo di quali delitti mi sono macchiato. Sto
spiegando un sistema di cui la camorra non è l’unica responsabile”, dice
Antonio Jovine, boss dei Casalesi ora collaboratore di giustizia. Quello che
sta succedendo in questi giorni, in queste ore, benché sembri una cosa semplicissima, perfino scontata, è
in realtà il racconto più difficile perché nelle parole di Antonio Jovine trova
spazio qualsiasi cosa accaduta e può essere allo stesso tempo, qualsiasi
dettaglio. Questa collaborazione è un miracolo dei Pm Antonello Ardituro e
Cesare Sirignano e di tutta la Dda di Napoli che ora sta gestendo una materia
incandescente. Potrà far saltare molti equilibri politici, imprenditoriali,
economici ancor prima che le dichiarazioni di Jovine siano passate all’attento
vaglio della magistratura, ancor prima che si possa dare effettiva rilevanza
penale a ogni singola affermazione.
Antonio Jovine ci sta raccontando uno spaccato di paese. Uno
spaccato, certo, e quindi non il paese nella sua interezza, eppure quello
spaccato ci dice moltissimo e getta luce su tutto il resto, su tutto ciò che
sembra lontano, lontanissimo dalle logiche criminali. Ci dice quali erano – e
sono – le linee guida per truccare e aggiudicarsi appalti. Ci dice come
venivano – e vengono – trovate alleanze e disponibilità all’interno delle
istituzioni. Ci dice come sia stato possibile vivere tanto a lungo in
latitanza, come veniva oliata la macchina delle coperture. Ci dice quanto
abbiamo sempre ipotizzato, quanto eravamo certi accadesse.
Ma Sentirlo Dalla Viva
Voce di un capo, ha
tutt’altro impatto. Ed è qui che stampa e opinione pubblica devono calibrare il
proprio ascolto, modulare il proprio orecchio, settarlo su un’impostazione
altra. I collaboratori di giustizia, soprattutto quando hanno vissuto in
latitanza per così tanto tempo, come è accaduto ad Antonio Jovine, hanno voci
incredibilmente sibilline perché sanno esattamente quali corde toccare e come
farlo. E se la magistratura è ben accorta e pronta a tutto questo, siamo
certamente noi i più esposti. Siamo noi a dover fare la tara e a
contestualizzare ogni singola affermazione. Noi che scriviamo e voi che
leggete. I rapporti tra stampa e criminalità organizzata sono rapporti
saldissimi, rapporti che negli anni sono cresciuti, si sono rotti perché si
costituissero nuovi canali di comunicazione. Una parte della stampa locale
campana è stata ed è a disposizione dei clan, più o meno consapevolmente, in
materia più o meno palese. L’editore di due testate locali, il “Corriere di
Caserta” e “Cronache di Napoli”, Maurizio Clemente, è stato condannato per
estorsione a mezzo stampa, cioè minacciava di delegittimare attraverso le
pagine dei suoi giornali chi non avesse pagato per evitarlo. Su questi giornali
la camorra appare spesso come un’organizzazione colma di onore e i boss uomini
pieni di fascino. Titoli che avreste potuto leggere sono “Don Diana era un
camorrista” e “Nunzio De Falco re degli sciupa femmine”: Nunzio De Falco,
condannato come mandante dell’omicidio di Don Diana. Il messaggio che, tramite
questi quotidiani, negli anni, si è fatto passare, è chiaro: nessuno può
schierarsi contro la camorra, chi lo fa ha sempre un interesse personale.
In Questo Contesto va osservata e interpretata la
telefonata che Antonio Jovine e Michele Zagaria fecero nel 1998 a un giornalista
del “Corriere di Caserta” che aveva ipotizzato, dopo l’arresto di Francesco
Schiavone “Sandokan”, problemi di successione tra Jovine e Zagaria.
L’atteggiamento e i toni sono incredibili: sembra che lo considerino un
quotidiano a loro disposizione e di conseguenza possano, senza alcun timore,
chiamare il giornalista e far presente che quanto scriveva era falso. Che
doveva correggere il tiro, che in quel modo creava problemi alle famiglie. Come
se dettassero loro la linea editoriale, chiedevano quindi di riportare le
notizie giuste (secondo loro) e non le interpretazioni individuali. Addirittura
hanno proposto di far andare i loro fratelli il giorno dopo in redazione per
confermare che fossero davvero loro ad avanzare le richieste: non temevano,
evidentemente, alcuna denuncia o possibile intervento della polizia. Questo
canale di interlocuzione alcuni quotidiani locali lo hanno sempre tenuto vivo.
Hanno sempre fatto in modo che restasse aperto, operativo, efficace. Non
sarebbe potuta accadere la stessa cosa a un giornalista di una testata
nazionale o anche di una testata locale che non avesse mostrato stoicamente con
titoli, con articoli, con editoriali, tanta disponibilità nei riguardi dei
clan.
Post Scriptum: i Nuvoletta non avrebbero mai telefonato a
Giancarlo Siani per dirgli di correggere quanto aveva scritto. Non lo hanno
fatto.
Roberto Saviano – L’Espresso – 12 giugno 2014
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