La terra natia e le
radici sono rassicuranti, ma non è dei giovani la capacità di osare, invece di
acquietarsi nella rassicurazione?
Sono una ragazza di 19 anni trasferitasi a Milano, da
Catanzaro, per motivi di studio. E dopo aver condiviso con persone della mia
stessa città la situazione che i ragazzi fuori sede si trovano ad affrontare,
ho salutato la mia mamma che ha preso l’aereo per tornare a casa. Mentre la
salutavo, con una velata sensazione di solitudine dentro, ho pensato: perché ho
dovuto lasciare la mia terra per inseguire i miei sogni? Perché nella mia terra
i sogni e i giovani sono destinati ad appassire? Vorrei che la mia terra
potesse offrirmi tutto quello di cui ho bisogno. Vorrei che i calabresi non
fossero costretti ad essere dei fuori sede per costruirsi una vita che al Sud
non potrebbero mai realizzare. Vorrei tornare a casa e vedere la mia famiglia.
Vorrei non dover ricostruirmi una vita da zero, ma semplicemente costruirmi
qualcosa di nuovo. Vorrei condividere i miei momenti con le mie amiche di
sempre. Vorrei diventare una giornalista di successo per poi dire: “E’ stata la
Calabria a formarmi”. Vorrei che la mia non fosse riconosciuta solo terra di
mafia, ma anche terra di bellezze. Vorrei che partire fosse solo una scelta e
non un obbligo, un di più che uno studente sceglie di compiere e non che gli
viene imposto dalla vita. Vorrei che la mia fosse la terra dei sogni e delle
idee capaci di evolversi, la terra dei giovani e non delle persone che si
accontentano. Porto il Sud, la Calabria, la gente, il mare, il calore del mio
cuore, ma il mio cuore non può rimanere in Calabria, perché destinato a
smettere di battere al ritmo dei miei sogni. Sono felice di avere un posto dove
poter tornare, ma sarei più felice se in quel posto potessi rimanerci.
Flaminia Scarpino
Leggendo la sua lettera mi sono venute in mente tre parole.
La prima è “nostalgia”. Un termine che è stato coniato nel 1688 da uno studente
di medicina, Johannes Hofer, che compose due parole greche: nesto (ritorno) e
àlgos (dolore): il dolore che deriva
dalla voglia di tornare.
La psichiatria adottò questo termine come una variante della
malinconia, che colpiva i militari in terra straniera e le ragazze al servizio
di famiglie lontane dalla propria terra. L’interesse della psichiatria fu
dovuto al fatto che non pochi militari e non poche ragazze, per nostalgia, si
suicidavano. Penso che non sia il suo caso e neppure il caso di suoi compagni
di studi che magari son ben contenti di
essere lontani da casa. Eppure la nostalgia ci segnala che quando l’anima è
rapita dal passato e dalla terra lontana, il presente si scolora, e una
demotivazione strisciante ci porta a dire, come spesso capitava a Bruce
Chatwin: “ Che ci faccio qui?”. Ma la sua domanda è: “Perché, per studiare,
devo venire fin qui?”. E allora la seconda parola che mi viene in mente è
“esilio”, dove non si va solo per ragioni politiche, ma, come nel suo caso
perché la sua terra lontana non le dà alcuna speranza per il futuro.
A questo punto la nostalgia diventa rabbia: contro l’ignavia
dei politici che non hanno mai affrontato seriamente i problemi del Sud?
Certamente. Ma anche che non ha creduto in se stessa e nella sua voglia di
riscatto da una sudditanza passivamente accettata, costringendo i suoi giovani
ad affermarsi altrove, in esilio, appunto.
Quando si è in esilio, la condizione che si vive, e qui siamo
alla terza parola, è quella dello “straniero” da quell’insolubile
contraddizione per cui: se si assimila troppo alla gente del luogo, perde le
sue radici, e con le radici la sua identità. Se invece le conserva e le
custodisce come basi irrinunciabili, diventa “estraneo” a quelli del luogo e va
incontro a un vissuto di solitudine. Questa contraddizione è insolubile e la
sofferenza che produce la si può compensare solo con la forza d’animo, che
riconferma la propria scelta e la determinazione di raggiungere, a livelli di
eccellenza, gli scopi per cui quella scelta, al momento dolorosa, è stata fatta.
Da ultimo possono confermare chi ha lasciato la sua terra,
che sia del Sud o del Nord, ha allargato i suoi orizzonti e ha capito in
anticipo che se il proprio paese non offre futuro, non resta che migrare, non
solo da un regione all’altra, ma anche da una nazione all’altra. E questo i
giovani più avveduti già lo fanno, perché la nostalgia della propria terra
lontana è pur sempre una sofferenza minore della depressione che può generare
la mancanza di futuro nella propria terra.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica 31 maggio 2014 –
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