Quando tutti tifavano
austerità
Oggi è facile
proclamare che il rigore nei conti pubblici è stato una follia.
Ma due anni fa la
totalità dei partiti inneggiava al pareggio di bilancio e lo votava a tempo di
record. Non solo le forze di governo, ma persino la Lega
Ora che finalmente si è votato si può tranquillamente dire
che è stata una fortuna che i leader fossero molto impegnati a insultarsi a
vicenda e poco a parlare di Europa. Le rare volte che ne parlavano, infatti,
era per raccontare frottole o per fare promesse impossibili da mantenere.
Sappiamo benissimo che chiunque promettesse di andare a Bruxelles, o a
Strasburgo, o direttamente a Berlino dalla Merkel a “battere i pugni sul
tavolo” per ridiscutere o addirittura stracciare trattati e parametri, casomai
ci provasse non avrebbe i pugni o non troverebbe il tavolo. Molto meglio
parlare di cose nostre, visto che almeno in Italia i politici possono ancora
decidere qualcosa.
Poi, magari, un giorno, quando avremo cancellato qualcuno dei
42 record negativi che – secondo i calcoli di Confartigianato – fanno di noi il
fanalino di coda d’Europa, potremo riaffacciarci oltre la cinta daziaria per
pigolare qualcosa. Possibilmente con un bell’esame di coscienza sul passato.
Oggi è facile, addirittura banale proclamare che il “rigore” finanziario è
stato una follia, a partire dal vincolo del 3 per cento sul rapporto
deficit-pil (“anacronistico”, per dirla con Renzi).
Peccato Che Tutti I
Partiti che
sostengono il governo, e anche quelli che vi si oppongono (a parte i 5Stelle
che non c’erano ancora), abbiano votato esattamente due anni fa, il 20 aprile
2012, il vincolo dello 0 per cento. E con legge non ordinaria, ma
costituzionale, inserendo il pareggio di bilancio addirittura nella Carta
fondamentale. Al governo, da cinque mesi, c’era Mario Monti. L’austerità era
vangelo. Ma lo zero per cento gliel’aveva lasciato in eredità Berlusconi,
firmando nel marzo 2011 il patto Eoroplus da cui derivò il famigerato Fiscal
compact e, appunto, il vincolo dello zero per cento, citato anche nella nota
lettera della Bce (agosto2011). Fu così che il 7 settembre, due mesi prima di
defungere, il governo Berlusconi presentò al Parlamento un ddl per infilare il
pareggio di bilancio nella Costituzione. Ddl analoghi li avevano presentati o
li presentarono di lì a poco quasi tutti gli altri partiti: dal Pd (primo
firmatario Bersani) all’Idv, dal Pdl al Terzo Polo centrista. Il dibattito
iniziò alla Camera in ottobre, proseguì dopo il passaggio di consegne fra il
Caimano e il Professore, e si concluse in aprile a tempo di record (per una
legge costituzionale, con doppia lettura nei due rami del Parlamento)
Renzi Non Era Ancora
Leader del Pd, ma il
suo attuale sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, pontificava: “Il
metro di misura del risanamento è un bilancio non in rosso. Il discrimine non è
obbligatoriamente l’avanzo, che pure non guasta, ma certo l’abbattimento del
disavanzo”. Giuliano Cazzola, all’epoca berlusconiano e ora montiano, si
astenne perché voleva più lacrime e più sangue: “La norma doveva essere più
netta: non può contenere riserve che consentano di derogare al pareggio”. Anche
l’allora finiano Benedetto Della Vedova, ora sottosegretario di Renzi, non si
accontentava: “Mancano strumenti che inchiodino la politica”. L’alfaniano
Giuseppe Marinello evocava scenari sudamericani: “Non sono bastate le lezioni
del Cile del 1973, dell’Argentina degli anni scorsi, della Grecia quest’anno?
Paesi dove un Welfare insostenibile ha alimentato il debito e poi portato alla bancarotta
e alla guerra civile”. E i leghisti, ora tutti accaldati contro l’Europa
cattiva e la Merkel vampira? Ecco il padano Alberto Simonetti: “L’economia
sociale di mercato ha messo in crisi il dogma del pareggio di bilancio che fu
raggiunto in tempi lontani, per esempio nel 1897, dal biellese Quintino Sella.
Lo dico da presidente della provincia di Biella”- Anche la montiana Linda
Lanzillotta non aveva dubbi: “E’ un passaggio importante, anche se arriva
purtroppo con trent’anni di ritardo”. Enrico Letta, che poi da premier finse un
giro d’Europa contro il rigore, scandiva stentoreo: “Noi assumiamo questa sfida
per il destino di noi europei e soprattutto per il futuro dei nostri figli”.
Alla Camera, in due letture, i No al pareggio di bilancio furono 3. In Senato,
nessuno. Tutta colpa della Merkel, si capisce.
Marco Travaglio – L’Espresso – 5 giugno 2014 –
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