Aiuto, anneghiamo!
Sono 39 le nazioni di
Pacifico, Caraibi e Oceano Indiano di essere sommerse.
E minacciano una
guerra. Diplomatica
Le Marshall Islands sono destinate a sparire dalla faccia della Terra. Sommerse dall’Oceano Pacifico.
Quando accadrà tutto questo? I pessimisti parlano di 50 anni da oggi. Quelli che vedono le cose con più moderazione
parlano della fine del Ventunesimo secolo. Cambia assai poco, se alla fine
pessimisti e prudenti giungono comunque alla conclusione che le isole saranno
cancellate dalle mappe geografiche. Le avvisaglie di quanto dovrebbe accadere
sono già visibili in questo arcipelago formato da 38 atolli, abitato da 59 mila
persone e con le acque territoriali che misurano due milioni di chilometri quadrati,
una superficie equivalente a quella del Messico. Un paio di volte alla
settimana la pista dell’aeroporto Amata Kabua e la strada che porta dallo scalo
alla capitale Majurchè finiscono
sott’acqua per perché è ormai chiaro che anno dopo anno l’oceano ha
sopravanzato la terra e se ne è mangiata tanta che non basta più a mantenere
all’asciutto l’impianto aeroportuale sette giorni su sette, giorno e notte. Un
altro segno della tragedia prossima ventura? A maggio di quest’anno le autorità
della capitale hanno dichiarato lo stato di emergenza perché il muro lungo
cinque chilometri costruito per difendere la città quando la marea si fa più dura o durante il passaggio di
violente perturbazioni rischiava di non tenere più di fronte alla pressione
dell’oceano.
La ragione di tutto ciò? Il cambiamento del clima causato
dalle emissioni che all’inizio del 2013 hanno fatto registrare il massimo
storico di CO2 nell’atmosfera con 400 ppm (parti per milione) a fronte di un
nuovo record di 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica prodotta dai
combustibili fossili e dalla produzione del cemento, con un incremento rispetto
al 2012 del 2,1 per cento in barca agli impegni
di tutte le conferenze sul clima che giurano di ridurre le emissioni. Se
la temperatura del pianeta e dei suoi oceani ale, l’effetto immediato è
l’innalzamento del livello del mare perché il volume dell’acqua aumenta man
mano che questa si riscalda. Il contemporaneo scioglimento dei ghiacci delle
due calotte artiche accelera il fenomeno: è come quando si versa acqua in un
recipiente già pieno. Il livello sale.
Per l’area del Pacifico, poi le previsioni dicono che
l’innalzamento sarà doppio rispetto agli altri mari. “Per noi il cambiamento
climatico non è più una questione ambientale o politica, ma di semplice
sopravvivenza”, ha detto Tony deBrun, ministro dell’Assistenza delle Marshall
Islands: “La mia gente sta soffrendo, negli atolli del Nord patiscono la fame e
la sete, qui al Sud siamo sommersi con sempre più frequenza dell’acqua di
mare”.
L’Oceano che ricopre la terra porta con sé problemi a cascata
che da anni vengono elencati dai paesi
membri del Aosis (Associazioni sovrane del Pacifico, dei Caraibi, dell’Oceano
Indiano – e tutti membri delle Nazioni Unite – che cercano di svegliare i
governi dei paesi più sviluppati chiedendo di ridurre le emissioni e di
aiutarli a limitare i danni anche fornendo loro tecnologia. Robert Guba Aisi,
ambasciatore all’Onu di Papua New Guinea, racconta a “l’Espresso” perché la
crescita del livello del mare è solo l’innesco di una serie infinita di
problemi: “L’acqua che avanza porta con sé malattie come la malaria perché la
vegetazione costiera viene distrutta, aumentano i problemi di tipo alimentare,
le riserve naturali di acqua potabile diventano inservibili perché l’acqua
salata le contamina. Problema dopo problema si arriva fino all’aumento delle
assicurazioni per tutto ciò che si trova in prossimità delle coste. (….) Son
tanti i rappresentanti delle isole che si sentono snobbati dai potenti della
Terra. “Con noi Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti usano la diplomazia del
jackpot: se hanno bisogno del nostro voto per qualcosa, ci corteggiano
singolarmente, fanno delle promesse e una volta ottenuto il risultato
scompaiono”, ricorda Beck. Il rappresentante di Papua Guinea invece è convinto
che le relazioni bilaterali qualche volta funzionino meglio, soprattutto con i
paesi più interessati al loro destino, e tra questi mette l’Italia. “Noi
sappiamo ascoltare i problemi degli altri e per questo troviamo la porta sempre
aperta alle nostre iniziative e ai progetti che portano la nostra tecnologia”,
sostiene Sebastiano Cardi, ambasciatore italiano presso l’Onu. Allo studio o in
fase esecutiva ci sono piccoli progetti ma essenziali per la vita in alcune
isole: impianti per la produzione di energia solare, come la costruzione di
cisterne per l’acqua piovana. In futuro potrebbero prendere piede iniziative
più grandi che hanno al centro il gruppo Finmeccanico di Telespazio per
controllare le acque e i fenomeni meteo nelle aree più a rischio, all’utilizzo
di droni per controllare l’oceano intorno alle isole che vivono essenzialmente
di diritti di pesca ceduti ai grandi paesi consumatori (l’isola di Palau e
Telespazio firmeranno il 5 febbraio un memorandum di collaborazione).
Sino a oggi le isole che vedono minacciata la propria
integrità e sopravvivenza dai cambiamenti del clima hanno lamentato che le
parole non son mai state seguite da atti concreti. L’ultima prova l’hanno avuta
a novembre a Varsavia dove si è svolta l’ennesima conferenza Onu sul clima. Non
c’è stato alcun accordo sulla riduzione delle emissioni e chi era lì a
rappresentare l’Aosis ha sentito fare da rappresentanti degli Stati Uniti e
dell’Unione europea discorsi del tipo “o cambiate atteggiamento e non fate richieste
esorbitanti o rischiate di perdere anche quel poco che è stato stanziato a
vostro favore”.
Così, la speranza è riposta solo nella capacità di fare
lobbying all’Onu. Se le isole si muovono insieme possono spostare l’ago della
bilancia a loro favore perché pur rappresentando in termini di popolazione e
prodotto interno lordo rispettivamente lo 0,8 e lo 0,75 per cento del mondo,
quando arriva il momento di votare in assemblea generale i 39 membri Aosis
rappresentano il 20 per cento dei voti validi. Un passaggio chiave sarà il
prossimo 23 settembre quando nel palazzo di vetro si aprirà il vertice speciale
convocato dal segretario generale Ban Ki-moon sui cambiamenti climatici. Sarà
una occasione nella quale Ban Ki-moon non chiederà l’inizio di un nuovo negoziato
ma impegni precisi sul cambiamento climatico, specie a coloro che sono
maggiormente coinvolti. Quel giorno le isole che rischiano di scomparire
faranno sentire la loro voce.
Di Antonio Carlucci da New York – L’Espresso -6 febbraio 2014
Nessun commento:
Posta un commento