Mi logoro di più se
vado o se resto?
Renzi se lo è chiesto e
alla fine si è detto pronto a provarci in prima persona, a scommettere: riforme
e semestre europeo sono una grande occasione.
Lui sa che non sarà
facile scalzare Letta. E noi sappiamo che questa è davvero l’ultima spiaggia
La legge del paradosso, la più amata e rispettata nella
politica all’italiana, vuole che anche stavolta il governo sia entrato in
agonia per il dualismo tra segretario e premier del partito di maggioranza relativa.
Manco fossero Andreotti e Zaccagnini, Moro e Fanfani, Forlani e De Mita, Prodi
e D’Alema, anche Renzi e Letta hanno cominciato a darsele di santa ragione, da
subito. Fino all’inarrestabile braccio di ferro che ha messo in crisi il Letta
I e proiettato il giovane Matteo verso Palazzo Chigi, il suo rischioso salto
mortale, la sua scommessa, la sua sfida finale. A due mesi dalle primarie che
lo avevano incoronato, a 55 giorni dalla sua elezione a leader del Pd.
In realtà lo scontro era cominciato prima ancora. Già il 13
settembre Renzi irrideva a Letta
“attaccato alla seggiola”, e non erano passati cinque mesi dalla nascita del
governo. Il 13 ottobre tuonava contro indulto e amnistia, e due giorni dopo
invocava una risoluzione radicale: “O affondiamo questo establishment che ha
fallito oppure il nostro Paese va a picco”. A metà dicembre, appena eletto
segretario, bocciava la web tax; il 14 gennaio di Letta diceva: “Si logora da
solo per quello che non fa”; infine il 6 febbraio chiedeva un voto sul suo governo.
Per bocciarlo.
Non Abbiamo Vissuto
Mesi esaltanti. Il
sistema è congelato, paralizzato: il governo è immobile, dedito confusamente
all’orinaria amministrazione; nei suoi dieci esi di vita – sui diciotto che
s’era dato per chiudere l’agenda degli impegni – Letta non ha realizzato una
sola delle riforme annunciate; il Parlamento è umiliato dalle risse, dagli
insulti e dalla pioggia di decreti monstre inzeppati d’ogni cosa; le
istituzioni traballano; gli sforzi sovrumani di Napolitano di farsi garante di
governi e premier ora tecnici ora politici, di intese larghe e meno larghe e
azzardate purchè si facessero ‘ste benedette riforme, s’è infranto per anni su
un muro di disinteresse e di conservazione.
La fragilità del sistema è tale che una storia vecchia di due
anni come quella della cooptazione di Monti al governo ,(…), dà l’impressione
per qualche ora di far tremare il Quirinale. Intanto viviamo lo strano
paradosso – un altro! – di un premier che non è riuscito a governare come
voleva e del segretario del suo stesso partito che non vedeva l’ora di
governare, ma a cui non era stata data la possibilità di farlo. Finora.
Nonostante I Tentativi di ripescare vecchi precedenti, la
telenovela che va in onda è del tutto originale. A differenza della staffetta Prodi-D’Alema
di quindici anni fa, infatti, qui si discute di un leader che non è stato
votato a fare il premier e di un aspirante premier extraparlamentare, nel senso
che non è ne né deputato, forte solo dell’investitura popolare delle primarie.
Volendo, c’è una sola somiglianza tra ieri e oggi: la voglia di molti di
spingere il segretario verso il Palazzo, di liberare il Nazareno dall’ingombro
e di appropriarsene.
E però,nonostante tutto, Renzi si dice pronto alla sfida, a
scommettere. Il ragionamento deve essere stato dei più semplici. Primo: la
manovra di logoramento è in atto da mesi, tanto vale rischiare da Palazzo Chigi
anziché da Palazzo Vecchio (il potere logora chi non ce l’ha); secondo: il
semestre europeo offre una straordinaria opportunità di visibilità
internazionale; terzo: l’idea di un governo di legislatura gli regala il ruolo
di King maker per maggioranze più larghe, riforme, nuovo presidente della
Repubblica. Il dado è tratto.
Certo, lo abbiamo imparato a nostre spese, una cosa è
ragionare altra è governare. E letta non si farà da parte tanto facilmente,e
nel Pd non tutti brinderanno al nuovo Boss, e cercare maggioranze a sinistra è
l’altare sul quale si è sacrificato Bersani, e l’intesa con Berlusconi sulle
riforme sarà una corsa a ostacoli eccetera eccetera. E però questa è davvero
l’ultima possibilità, l’ultima speranza di scardinare il vecchio per aprire la
strada al nuovo e chiudere il Ventennio Inconcludente. E proprio non è solo un
modo di dire.
Twitter@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – L’Espresso 20
febbraio 2014
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