Spesso sembra che ai
genitori interessi più la promozione che un’educazione vera
Consiglio di classe di una terza liceo scientifico, vi
partecipano anche i rappresentanti dei genitori. Viene intentato da parte di
questi ultimi una sorta di processo nei miei confronti. L’accusa? Mettere voti
troppo bassi in italiano e latino. Causando così depressione nei ragazzi.
Mi è stato inoltre ricordato dalla zelante rappresentante di
classe che precipuo dovere di preside è quello di convocare un professore ogni
volta che si comporta come secondo lei mi comporterei io.
E’ vero, non accetto che i ragazzi parlino e scrivano con la
povertà espressiva che caratterizza la classe in questione, cerco di lavorare
sulle loro competenze linguistiche, che sono davvero scarse. Oltre a farli
leggere tanto, spiegare ogni pagina che do loro da studiare, consegno le
griglie di valutazione e spiego le ragioni delle insufficienze, che peraltro
sono, numericamente, pari a quelle che hanno in matematica. Ma di matematica
capiscono solo gli insegnanti di matematica, mentre di italiano capiscono
tutti.
Il consiglio di classe mi appoggia pienamente. I genitori,
come spesso accade in questi tempi oscuri, sono più miopi dei ragazzi. Loro
sembrano nutrire nei confronti degli insegnanti un rispetto e una fiducia che
non sempre ho ritrovato nei genitori, più abituati alla difesa incondizionata
della prole.
Se questo fosse un caso sporadico non avrei sentito il
bisogno di raccontare a un giornale questa piccola storia senza importanza;
purtroppo si tratta di esperienze vissute spesso dai docenti, circostanza che,
forse, dice tanto del mondo di oggi. Lettera firmata
Senza generalizzare, non è difficile constatare che oggi ai
genitori sembra non interessi tanto la formazione culturale dei loro figli,
quanto la loro promozione, per ottenere la quale, invece di stimolare i loro
figli allo studio, la cui scarsa applicazione appare evidente anche a loro
preferiscono contestare i professori.
Questa operazione incominciata alle scuole elementari, quando
i bambini iniziano a conoscere un mondo nuovo rispetto a quello familiare,
imparano a socializzare e a proiettare la loro fiducia, prima rivolta ai soli
genitori, anche sugli insegnanti.
Parlar male degli insegnanti davanti a loro, contestarli
nelle riunioni di classe, ha come unico effetto non quello di rassicurare i
bambini dell’amore dei loro genitori, ma di disorientarli, inducendo in loro
quella sfiducia di base, per cui non sanno più di chi fidarsi. Il risultato è
la demotivazione e il disimpegno.
Non tutti gi insegnanti sono all’altezza del loro compito, ma
la contestazione si rivolge soprattutto agli insegnanti più impegnati ed
esigenti, perché a rischio c’è la promozione.
La nostra scuola, inoltre, a furia di essere riformata a ogni
cambio di ministro, è diventata sempre meno esigente. I ragazzi non conoscono
più il loro valore e il loro rendimento perché sono stati aboliti tutti quegli
esami intermedi che una volta verificavano la preparazione in seconda e in
quinta elementare, in terza media, al termine del biennio delle scuole
superiori e infine alla maturità.
Oggi l’esame di maturità è il primo che gli studenti
incontrano dopo 13 anni di scuola. E in quell’occasione intervengono medici,
dietologi, psicologi e naturalmente i genitori, per assisterli e confortarli in
una prova d’esame che prevede la preparazione in sole quattro materie,
annunciate con mesi d’anticipo, dove l’insufficiente preparazione può essere
compensata da crediti maturati in abilità extrascolastiche o da ricerche
improbabili ricavate da internet.
Messa in questione ogni forma di autorità, tollerata ogni
forma di indisciplina, giustificato ogni impegno scadente (anche per la
complicità di alcuni professori che, per non avere noie con i ricorsi al Tar,
promuovono tutti), fatta salva la forma, la sostanza dell’attuale preparazione
scolastica è davvero deprimente, per non parlare dell’aspetto formativo a cui
la nostra scuola rinuncia, perché già fatica a raggiungere un livello
informativo che sia degno di questo nome.
Non a caso siamo agli ultimi posti, non solo in Europa,
quanto a competenze - letterarie e
scientifiche. Ma questo non sembra preoccupare i genitori a cui importa solo la
promozione, il diploma, la laurea, a prescindere da quanta cultura è stata
acquisita dai loro figli, che poi vengono anche premiati per i risultati
raggiunti. Ma non dimentichiamo che un Paese incolto, e che per giunta non
legge, in un mondo globalizzato non è in grado di competere con chi è molto più
preparato in altre parti del mondo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 15 febbraio 2014
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