Io che mi merito la
camorra
Così Saviano è
insultato su un muro di Catania.
Un infamia che fa
riflettere perché è sintomo della rabbia di chi non fa nulla contro il male e
se la prende con chi lo racconta.
Come se tacere potesse
far tornare l’Italia un paradiso terrestre….
Qualche giorno fa a Catania, su un muro in pieno centro, è
apparsa una scritta: “Saviano ti meriti la camorra”. Al di là dell’idiozia
scritta, l’ennesima infamia subita non mi infastidisce. Mi ha fatto però
riflettere. A volte mi sembra davvero di meritarla la camorra. Di meritarla io,
di meritarla tutti. Nel Paese in cui si è attaccati perché si arriva a tanti,
in televisione, sulle prime pagine dei giornali. Nel Paese in cui raccontare ti
rende bersaglio, a prescindere, di tutto e tutti, di mafiosi e gente per bene.
Per superare l’imbarazzo di non essere abbastanza, di aver fatto poco, spesso
si riserva l’odio su chi racconta il male, non su chi lo fa. Perché il male
conforta, fa sentire migliori. Osservare il suo racconto costringe invece ad
agire o a cercare motivazioni valide per non aver agito.
La Codardia è un sentimento terribile con cui
convivere e allora non resta che aggredire, deridere, insultare. Pagliaccio,
burattino nelle mani delle procure, inventore di storie, copione denigratore.
Sono tutti epiteti che servono a creare il vuoto attorno a chi racconta il
potere dei clan e a catalizzare un generoso consenso verso le dinamiche
criminali. Mi è capitato di essere insultato in questo modo non solo da
soggetti legati alle organizzazioni criminali, ma anche da politici, registi,
scrittori, giornalisti, gente comune, di qualsiasi estrazione sociale e di
qualsiasi colore politico. Insulti che esorcizzano le responsabilità del
singolo. Insulti detti per distrarre, creare confusione, generare ilarità,
figlia della frustrazione. Essere contro le organizzazioni criminali
sembrerebbe un’ovvietà, eppure non è così semplice riuscire a tenere sotto
controllo sentimenti che hanno origine dalle nostre viscere. Non è semplice nei
territori che le mafie hanno conquistato. Chi è cresciuto dove la presenza delle organizzazioni criminali è tangibile,
spesso non ce la fa più a vedere la propria terra costantemente associata a
omicidi, spaccio, racket, rapine, faide, vendette. Spesso non ce la fa più ad
aver paura, a camminare con le spalle strette e la borsa attaccata al corpo.
Non ce la fa più a uscire con quanto basta appena per fare la spesa, a lasciare
il cellulare a casa, a trovare un luogo sicuro dove parcheggiare l’auto o il
motorino. Non ce la fa più a percorrere al buio la strada che va dall’uscita
della metropolitana a casa, sperando che tutto vada liscio. Si accumula tanta
tensione che basta sentire il solito Saviano che parla dell’ultimo omicidio a
far scattare la rabbia: “ Io vivo questa merda ogni giorno, perché quando
parlate della mia terra non mi fate vedere invece che c’è qualcosa di buono?
Perché non mostrate il sole su via Caracciolo? Perché non dite che qui,
nonostante tutto siamo felici? Che qui, nonostante tutto quello che voi pensate
di noi, viviamo, amiamo, lavoriamo, educhiamo i figli che a loro volta
partoriranno i loro, li educheranno?
Ma Como Si Può raccontare la bellezza senza fine di una terra
infestata dai clan, ignorandone l’esistenza? Come si può chiedere di raccontare
il sole quando ci sono intere città che vivono sulle macerie di una democrazia
mai davvero compiuta?
E allora, dato che a nessuno conviene, smettiamo di parlare
di camorra, smettiamo di parlare di mafia, smettiamo di parlare di ‘ndrangheta.
Smettiamo di chiamare casalesi i casalesi, corleonesi i corleonesi, smettiamo
di nominare Reggio Calabria, la Locride, Gioia Tauro quando parliamo di
‘ndrangheta, ché i calabresi per bene – la maggioranza – potrebbero prendersela
a male. Smettiamo di parlarne perché ciò che non viene nominato finisce per non
esistere. E così anche le mafie, se smettiamo di raccontarle, smettono di
esistere. Certo, ci saranno un po’ di cose che non riusciremo più a spiegarci ,
ma perché accanirsi su un tema che nessuno vuole indagare, estraneo alla
politica nazionale e odioso per gran parte della politica locale? Smettiamo di
parlare di mafie e l’Italia, come auspicava anche Berlusconi, tornerà a essere
quel paradiso terrestre che in fondo non è mai stato. Ma che in molti continuano
a vagheggiare.
Roberto Saviano – L’Espresso – 20 febbraio 2014
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