Paul Julien da bambino
ha conosciuto la forma più radicale della contestazione alla famiglia
tradizionale.
Ora da grande, racconta
come quella esperienza gli ha segnato la vita
Paul-Julien Robert è nato nel 1079 nella comune di
Friedrichshof, vicino a Vienna, e lì ha passato i primi dodici anni della sua
vita: “Tutto quello che c’era fuori ci veniva descritto come il male. Io sapevo
che cos’era una famiglia “borghese”, ma era qualcosa di lontano, che veniva
visto come sbagliato”.
La madre di Paul-Julien, un’idealista svizzera di nome
Florance Desurmont, era andata a vivere lì a 26 anni, prima che lui nascesse.
Aveva un passato famigliare difficile e sperava che fosse una specie di
psicoterapia. “La sua famiglia sarebbe stata la mia, ma lei l’ha barattata con
uno stile di vita alternativo”, dice Paul-Julien oggi che ha 34 anni e sulla
sua esperienza ha fatto un film, Meine keine Familie, premiato come migliore
documentario al 57° BFI London Film Festival. Intenso, commovente e a tratti
inquietante, mescola filmati d’archivio e conversazioni con la madre per
raccontare una utopia feroce che condivideva con le molte comuni nate in quegli
anni il rifiuto della famiglia tradizionale, ma a questo aggiungeva il ferreo
controllo del suo fondatore, l’artista austriaco Otto Muhl.
Il manifesto di Friedrichshof, scritto nel1973. Recitava:
“Vivere insieme nelle comuni è un importante esperimento sociale che sul lungo
periodo permetterà la trasformazione e l’evoluzione della società fondata sulla
famiglia nucleare”. Principi fondamentali: amore libero, proprietà comune e
allevamento collettivo dei figli. Chi partecipava era convinto che sarebbero
cresciuti più sani, indipendenti e sereni, ne sarebbero usciti molti adulti
emotivamente danneggiati, impauriti e confusi. Muhl, scomparso nel maggio di
quest’anno, separava i genitori dai figli e regolarmente li “dirigeva” in
performance di danza, canto e recitazione basate sul concetto di “denudamento”,
una “terapia” per smantellare il concetto di famiglia chiusa. Nel 1991, sarebbe
stato dichiarato colpevole di abusi sessuali su minori e condannato a sette
anni di carcere.
Che percezione aveva, allora, Paul-Julien, di sua madre,
rispetto alle altre donne che nella comune si erano assunte l’educazione collettiva
dei bambini? “Mia madre era l’unica persona con la quale mi sentivo al sicuro”,
risponde. “Avevo la sensazione che lei fosse qualcosa di più, e di certo, per
me era più importante”.
La situazione, che Paul-Julien ricorda come una prima
infanzia felice, cambia di colpo quando nel 1983 Florance e gli altri membri
svizzeri di Friedrichshof vengono spediti da Muhl a Zurigo per guadagnare soldi
da destinare alla comune. Paul-Julien allora aveva quattro anni: “Mi sentivo
molto solo, al posto di mia madre c’erano altre donne, ma non era affatto la
stessa cosa. L’ideologia della comune era che tutti i rapporti personali erano
dannosi per il gruppo, così sviluppare un vero legame con qualcuno era
impossibile”. I bambini con cui
trascorreva il suo tempo, giocando e partecipando alle attività creative e ai
giochi di ruolo (in uno di questi, Muhl gli chiedeva di ripetere “da quando mia
mamma è andata a Zurigo, ogni giorno sto un po’ meglio”) divennero la sua
famiglia surrogata. Si sentiva amato? “Mai. La sensazione di essere amato e la
capacità di esprimere amore, ho dovuto impararle e accettarle in seguito”.
Racconta Paul-Julien che fino a quel momento non era mai
stato interessato a sapere chi fosse suo padre. “Da bambino nessuno mi ha mai
tenuto in braccio o mostrato tenerezza. Per Otto Muhl qualsiasi forma di
intimità tra maschi era espressione di omosessualità, qualcosa di malato.
Perciò c’era una generale assenza di affetto da parte degli adulti”
(…)
Sciola la comune, Paul-Julien a 12 anni è andato ad abitare
con la madre Florance a Zurigo, cominciando a frequentare la scuola e a vivere
come tutti gli altri. Quel mondo, però, gli risultava estraneo, e i rapporti
con i compagni di scuola difficili. “Non sapevo come comunicare con loro, né di
cosa parlare. L’idea dell’amicizia che avevo avuto fino a quel momento era
molto diversa”.
Sorprendentemente, Paul-Julien dice che del passato con sua
madre non aveva mai parlato, fino a quando, sei anni fa, ha deciso di girare il
film. “A dire il vero, ogni tanto penso che la mia infanzia, paragonata a
quella di altri bambini, non sia stata male. La comune aveva anche aspetti
positivi. Sono cresciuto in mezzo alla natura e con li amici. Trovandoci così
distanti dalla società, ci sentivamo liberi”. Nel film spiega così perché ha
deciso di raccontare la sua storia: “Non tanto per trovare risposte per me,
quanto per far domande ai miei genitori, in modo che possano trovare risposte
per se stessi. Non volevo che si giustificassero, ma farli riflettere su ciò
che è successo”.
Oggi che opinione ha, Paul-Julien, della famiglia? Resta in
silenzio a lungo, poi sorride: “Per me è complicato anche convivere con me
stesso. Farlo con un’altra persona, e che questa mi accetti per quello che
sono, lo è ancora di più. In un certo senso, per me la famiglia è una specie di
piccola comune. Ogni individuo ha la sua opinione, e trovare un modo per stare
insieme senza smarrire la propria identità è molto difficile”. Presto però
dovrà provarci: la sua fidanzata è incinta, a gennaio diventerà padre: “La mia
ragazza è diversa da me. Lei desidera un rapporto nel quale si condivide molto,
e ogni tanto per me è un po’ strano”. Ma la paternità non lo spaventa.
“Imparerò un giorno alla volta, e me la caverò. E’ la vita”.
(traduzione di Matteo Colombo)
Despina Landi – La Donna di Repubblica – 14 dicembre 2013
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