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mercoledì 12 febbraio 2014

Lo Sapevate Che: Sono Cresciuto in una Comune...


Paul Julien da bambino ha conosciuto la forma più radicale della contestazione alla famiglia tradizionale.
Ora da grande, racconta come quella esperienza gli ha segnato la vita

Paul-Julien Robert è nato nel 1079 nella comune di Friedrichshof, vicino a Vienna, e lì ha passato i primi dodici anni della sua vita: “Tutto quello che c’era fuori ci veniva descritto come il male. Io sapevo che cos’era una famiglia “borghese”, ma era qualcosa di lontano, che veniva visto come sbagliato”.
La madre di Paul-Julien, un’idealista svizzera di nome Florance Desurmont, era andata a vivere lì a 26 anni, prima che lui nascesse. Aveva un passato famigliare difficile e sperava che fosse una specie di psicoterapia. “La sua famiglia sarebbe stata la mia, ma lei l’ha barattata con uno stile di vita alternativo”, dice Paul-Julien oggi che ha 34 anni e sulla sua esperienza ha fatto un film, Meine keine Familie, premiato come migliore documentario al 57° BFI London Film Festival. Intenso, commovente e a tratti inquietante, mescola filmati d’archivio e conversazioni con la madre per raccontare una utopia feroce che condivideva con le molte comuni nate in quegli anni il rifiuto della famiglia tradizionale, ma a questo aggiungeva il ferreo controllo del suo fondatore, l’artista austriaco Otto Muhl.
Il manifesto di Friedrichshof, scritto nel1973. Recitava: “Vivere insieme nelle comuni è un importante esperimento sociale che sul lungo periodo permetterà la trasformazione e l’evoluzione della società fondata sulla famiglia nucleare”. Principi fondamentali: amore libero, proprietà comune e allevamento collettivo dei figli. Chi partecipava era convinto che sarebbero cresciuti più sani, indipendenti e sereni, ne sarebbero usciti molti adulti emotivamente danneggiati, impauriti e confusi. Muhl, scomparso nel maggio di quest’anno, separava i genitori dai figli e regolarmente li “dirigeva” in performance di danza, canto e recitazione basate sul concetto di “denudamento”, una “terapia” per smantellare il concetto di famiglia chiusa. Nel 1991, sarebbe stato dichiarato colpevole di abusi sessuali su minori e condannato a sette anni di carcere.
Che percezione aveva, allora, Paul-Julien, di sua madre, rispetto alle altre donne che nella comune si erano assunte l’educazione collettiva dei bambini? “Mia madre era l’unica persona con la quale mi sentivo al sicuro”, risponde. “Avevo la sensazione che lei fosse qualcosa di più, e di certo, per me era più importante”.
La situazione, che Paul-Julien ricorda come una prima infanzia felice, cambia di colpo quando nel 1983 Florance e gli altri membri svizzeri di Friedrichshof vengono spediti da Muhl a Zurigo per guadagnare soldi da destinare alla comune. Paul-Julien allora aveva quattro anni: “Mi sentivo molto solo, al posto di mia madre c’erano altre donne, ma non era affatto la stessa cosa. L’ideologia della comune era che tutti i rapporti personali erano dannosi per il gruppo, così sviluppare un vero legame con qualcuno era impossibile”.  I bambini con cui trascorreva il suo tempo, giocando e partecipando alle attività creative e ai giochi di ruolo (in uno di questi, Muhl gli chiedeva di ripetere “da quando mia mamma è andata a Zurigo, ogni giorno sto un po’ meglio”) divennero la sua famiglia surrogata. Si sentiva amato? “Mai. La sensazione di essere amato e la capacità di esprimere amore, ho dovuto impararle e accettarle in seguito”.
Racconta Paul-Julien che fino a quel momento non era mai stato interessato a sapere chi fosse suo padre. “Da bambino nessuno mi ha mai tenuto in braccio o mostrato tenerezza. Per Otto Muhl qualsiasi forma di intimità tra maschi era espressione di omosessualità, qualcosa di malato. Perciò c’era una generale assenza di affetto da parte degli adulti”
(…)
Sciola la comune, Paul-Julien a 12 anni è andato ad abitare con la madre Florance a Zurigo, cominciando a frequentare la scuola e a vivere come tutti gli altri. Quel mondo, però, gli risultava estraneo, e i rapporti con i compagni di scuola difficili. “Non sapevo come comunicare con loro, né di cosa parlare. L’idea dell’amicizia che avevo avuto fino a quel momento era molto diversa”.
Sorprendentemente, Paul-Julien dice che del passato con sua madre non aveva mai parlato, fino a quando, sei anni fa, ha deciso di girare il film. “A dire il vero, ogni tanto penso che la mia infanzia, paragonata a quella di altri bambini, non sia stata male. La comune aveva anche aspetti positivi. Sono cresciuto in mezzo alla natura e con li amici. Trovandoci così distanti dalla società, ci sentivamo liberi”. Nel film spiega così perché ha deciso di raccontare la sua storia: “Non tanto per trovare risposte per me, quanto per far domande ai miei genitori, in modo che possano trovare risposte per se stessi. Non volevo che si giustificassero, ma farli riflettere su ciò che è successo”.
Oggi che opinione ha, Paul-Julien, della famiglia? Resta in silenzio a lungo, poi sorride: “Per me è complicato anche convivere con me stesso. Farlo con un’altra persona, e che questa mi accetti per quello che sono, lo è ancora di più. In un certo senso, per me la famiglia è una specie di piccola comune. Ogni individuo ha la sua opinione, e trovare un modo per stare insieme senza smarrire la propria identità è molto difficile”. Presto però dovrà provarci: la sua fidanzata è incinta, a gennaio diventerà padre: “La mia ragazza è diversa da me. Lei desidera un rapporto nel quale si condivide molto, e ogni tanto per me è un po’ strano”. Ma la paternità non lo spaventa. “Imparerò un giorno alla volta, e me la caverò. E’ la vita”.
(traduzione di Matteo Colombo)
Despina Landi – La Donna di Repubblica – 14 dicembre 2013


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