Un Paese di guru e
slogan, la nuova Resistenza
la fanno gli insegnanti
Buona parte dei guai
attuali del Paese deriva dal fatto che, vent’anni fa,
invece di interrogarsi
sul futuro dell’Italia nel mondo globale, la maggioranza
degli elettori decise di credere alla
colossale, puerile ridicola balla
di un possibile “nuovo
miracolo economico”stile anni Cinquanta. Un boom che ci avrebbe fatto tutti
ricchi, se soltanto avessimo votato per un imprenditore all’epoca sull’orlo del
fallimento.
Poiché la storia non insegna nulla a nessuno, non sorprende
che gli italiani continuino a credere alle panzane più semplicistiche, pur
avendone sperimentato sulla propria pelle il catastrofico danno. Dev’essere
anche la secolare abitudine a credere nei miracoli, il sangue di San Gennaro
sciolto nell’ampolla, le lacrime delle madonne sparse per ogni angolo di Paese.
Una consuetudine atavica all’irrazionale, per giunta amplificata dalla rete,
questa meravigliosa invenzione che permette a qualsiasi somaro di spacciarsi
con successo per un genio dell’economia o della scienza, sia pure emarginato
per colpa di complotti accademici-e della stampa asservita ai poteri forti.
Così guardo ormai con tenerezza al giovane figlio di un amico
o alla pensionata vicina di casa, già berlusconiana di ferro ( “Ha fatto i suoi
interessi, se lo votiamo farà i nostri” ), oggi convinti dai nuovi guru che per
risolvere i problemi basti cancellare il debito pubblico, tornare alla lira e
come per magia recuperare il terreno perduto, milioni di posti di lavoro e la
serenità con due milioni al mese.
E’ inutile obiettare che l’uscita dall’euro con bancarotta di
Stato e fallimento del sistema bancario, potrebbe invece essere la mazzata
finale sui deboli, il passaggio di tante famiglie già in difficoltà
direttamente al vagabondaggio sotto i ponti. Uni si limita a pregare in
silenzio che non accada, per il bene loro e dei nostri figli. Servirebbe magari
un altro euro e soprattutto un’altra Europa, ma questo è un discorso lungo e
complesso che non funziona in tv o su Twitter.
A volte penso agli operai di Sesto San Giovanni, dove sono
cresciuto, che fra un turno e l’altro in fabbrica trovavano la forza di
organizzare riunioni e incontri per discutere, leggere, capire: si sforzavano
di leggere i sacri testi dell’economia socialista; chiedevano ai figli, mandati
avanti fino all’università a prezzo di enormi sacrifici. Oppure guardo ai bravi
insegnanti, eroi di una nuova Resistenza, che hanno continuato a studiare e ad
aggiornarsi, nonostante gli stipendi sempre più da fame. Non si tratta di
nostalgia, ma di gratitudine.
E’ merito di persone così se non siamo ancora un Paese del
tutto rimbecillito dagli slogan.
Curzio Maltese – Il Venerdì di Repubblica – 14 febbraio 2014
Nessun commento:
Posta un commento