Toh, in Italia c’è un
sacco di corruzione
Il costo delle mazzette
in Europa ammonta a 120 miliardi di euro.
La metà riguarda il Bel
Paese. Che brilla anche per record di evasione fiscale. Cosa lega i due
fenomeni? Un pacchetto di Leggi fatte per favorire chi si nasconde
Ce lo chiede l’Europa, anche questo: lottare contro la
corruzione. E però stavolta nessuno si preoccupa di lanciare lo slogan, di
giustificare così provvedimenti drastici, di raccogliere l’invito. Ci
mancherebbe altro. Sembra quasi, e questo forse è l’aspetto più inquietante della
litanìa di tristi statistiche che periodicamente ci umilia, che la corruzione
sia diventata quotidiana normalità. Come le regioni d’Italia in mano alla
criminalità organizzata e fuori del controllo dello Stato; le pizzerie del
centro di Roma gestite dalla mafia; le mazzette pagate dagli imprenditori solo
per conquistarsi il diritto al lavoro. Tutto naturale.
Eppure le cifre del rapporto Malmstrom, il dossier sulla
corruzione nei Paesi dell’Unione, sono scandalose. Anche perché l’Italia macina
da sola la metà di quel malaffare. Se infatti si calcola in 120 miliardi di
euro il costo della corruzione nel Vecchio Continente (nessun Paese ne è
indenne), ben 60 sarebbero made in Italy: quattro punti di Pil (mentre si
fatica a mettere un segno più davanti a un misero zero virgola di crescita);
tre volte il gettito Imu.
E tutti lo sanno: 97 italiani su cento (75 in Europa) sono
convinti che la corruzione aumenti e si diffonda; 88 che senza raccomandazioni o spintarelle non sia possibile godere di
alcun servizio pubblico; 64 che la politica sia lo strumento indispensabile per
fare business; che non c’è appalto in edilizia o sanità che non nasconda il
pericolo di mazzette. Del resto in questo Parlamento siedono una cinquantina
tra imputati, rinviati a giudizio o già condannati. Nonostante le chiacchiere
su casta, privilegi, liste immacolate. E poi dice che Grillo gongola e spara
vaffa…
Se Il Catalogo E’
Questo, dice la
signora Malmstrom, buona parte della responsabilità ricade su Camera e Senato
che, nonostante qualche apprezzabile sforzo, si sono ben guardati dallo
smontare leggi che in realtà facilitano la corruzione. Che vent’anni dopo Mani
Pulite si espande ancora. Del resto, se si deve credere a indagini recenti
della Procura di Roma, il malaffare ha raggiunto anche tribunali fallimentari,
forze dell’ordine, finanzieri conniventi con commercialisti traffichini.
Viste in quest’ottica, le storie dei partiti che si danno da
fare per non far pagare le tasse ai propri elettori di riferimento, raccolte da
Stefano Livadiotti nel suo “Ladri” (un’anticipazione del libro-inchiesta
Bompiani è a pag.30), e soprattutto l’esito di processi eterni, di contenziosi
compiacenti e l’affannarsi di politici, soprattutto berlusconiani, intorno al
capezzale del contribuente al solo di scopo di cancellare o addolcire tutte le
misure tese a impedirgli di evadere il fisco, acquistano ben altro significato.
Spesso corruzione fa rima con impunità, con nero, sommerso ed evasione fiscale,
e sono queste, come spiega bene il rapporto Malmstrom, a generare criminalità,
a spingere a delinquere, non il contrario. C’è un partito occulto della
corruzione, e c’è un partito degli evasori.
Un Anno E Mezzo Fa, sull’onda delle teste di maiale in
festa e delle gioiose vacanze a scrocco di imprenditori dall’appalto facile,
protagonisti i Fiorito e i Formigoni, il governo Monti avrò una presuntuosa
legge anticorruzione. Il decreto studiato dal ministro-avvocato Severino
ricevette applausi, meglio che niente; fissò paletti; istituì un’authority, ma
non ha colmato la voragine aperte da leggi ad personam, dal falso in bilancio,
dai conflitti di interessi e dalle prescrizioni a go-go grazie alla quale la
fanno franca ogni anno più di centomila imputati di gravi reati contro la
pubblica amministrazione, e altre ne aprì, come lo spacchettamento del reato di
concussione a tutto vantaggio di quella a induzione, la più diffusa e protetta
dalle prescrizioni.
Poi però è passato del tempo e nulla è successo. Sì, lo sappiamo,
c’è la legge elettorale da cambiare, e al Senato da riformare, e il titolo V
della Costituzione da ridimensionare, e decidere se mandare Renzi a Palazzo
Chigi subito o tra un po’, ma della corruzione non si parla più. Come se non ci
fosse. O facesse parte del paesaggio. Come la casa di Scajola con vista sul
Colosseo.
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 13 febbraio 2014
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