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giovedì 13 febbraio 2014

Lo Sapevate Che: Questa Settimana...


Toh, in Italia c’è un sacco di corruzione

Il costo delle mazzette in Europa ammonta a 120 miliardi di euro.
La metà riguarda il Bel Paese. Che brilla anche per record di evasione fiscale. Cosa lega i due fenomeni? Un pacchetto di Leggi fatte per favorire chi si nasconde

Ce lo chiede l’Europa, anche questo: lottare contro la corruzione. E però stavolta nessuno si preoccupa di lanciare lo slogan, di giustificare così provvedimenti drastici, di raccogliere l’invito. Ci mancherebbe altro. Sembra quasi, e questo forse è l’aspetto più inquietante della litanìa di tristi statistiche che periodicamente ci umilia, che la corruzione sia diventata quotidiana normalità. Come le regioni d’Italia in mano alla criminalità organizzata e fuori del controllo dello Stato; le pizzerie del centro di Roma gestite dalla mafia; le mazzette pagate dagli imprenditori solo per conquistarsi il diritto al lavoro. Tutto naturale.
Eppure le cifre del rapporto Malmstrom, il dossier sulla corruzione nei Paesi dell’Unione, sono scandalose. Anche perché l’Italia macina da sola la metà di quel malaffare. Se infatti si calcola in 120 miliardi di euro il costo della corruzione nel Vecchio Continente (nessun Paese ne è indenne), ben 60 sarebbero made in Italy: quattro punti di Pil (mentre si fatica a mettere un segno più davanti a un misero zero virgola di crescita); tre volte il gettito Imu.
E tutti lo sanno: 97 italiani su cento (75 in Europa) sono convinti che la corruzione aumenti e si diffonda; 88 che senza raccomandazioni  o spintarelle non sia possibile godere di alcun servizio pubblico; 64 che la politica sia lo strumento indispensabile per fare business; che non c’è appalto in edilizia o sanità che non nasconda il pericolo di mazzette. Del resto in questo Parlamento siedono una cinquantina tra imputati, rinviati a giudizio o già condannati. Nonostante le chiacchiere su casta, privilegi, liste immacolate. E poi dice che Grillo gongola e spara vaffa…
Se Il Catalogo E’ Questo, dice la signora Malmstrom, buona parte della responsabilità ricade su Camera e Senato che, nonostante qualche apprezzabile sforzo, si sono ben guardati dallo smontare leggi che in realtà facilitano la corruzione. Che vent’anni dopo Mani Pulite si espande ancora. Del resto, se si deve credere a indagini recenti della Procura di Roma, il malaffare ha raggiunto anche tribunali fallimentari, forze dell’ordine, finanzieri conniventi con commercialisti traffichini.
Viste in quest’ottica, le storie dei partiti che si danno da fare per non far pagare le tasse ai propri elettori di riferimento, raccolte da Stefano Livadiotti nel suo “Ladri” (un’anticipazione del libro-inchiesta Bompiani è a pag.30), e soprattutto l’esito di processi eterni, di contenziosi compiacenti e l’affannarsi di politici, soprattutto berlusconiani, intorno al capezzale del contribuente al solo di scopo di cancellare o addolcire tutte le misure tese a impedirgli di evadere il fisco, acquistano ben altro significato. Spesso corruzione fa rima con impunità, con nero, sommerso ed evasione fiscale, e sono queste, come spiega bene il rapporto Malmstrom, a generare criminalità, a spingere a delinquere, non il contrario. C’è un partito occulto della corruzione, e c’è un partito degli evasori.
Un Anno E Mezzo Fa, sull’onda delle teste di maiale in festa e delle gioiose vacanze a scrocco di imprenditori dall’appalto facile, protagonisti i Fiorito e i Formigoni, il governo Monti avrò una presuntuosa legge anticorruzione. Il decreto studiato dal ministro-avvocato Severino ricevette applausi, meglio che niente; fissò paletti; istituì un’authority, ma non ha colmato la voragine aperte da leggi ad personam, dal falso in bilancio, dai conflitti di interessi e dalle prescrizioni a go-go grazie alla quale la fanno franca ogni anno più di centomila imputati di gravi reati contro la pubblica amministrazione, e altre ne aprì, come lo spacchettamento del reato di concussione a tutto vantaggio di quella a induzione, la più diffusa e protetta dalle prescrizioni.
Poi però è passato del tempo e nulla è successo. Sì, lo sappiamo, c’è la legge elettorale da cambiare, e al Senato da riformare, e il titolo V della Costituzione da ridimensionare, e decidere se mandare Renzi a Palazzo Chigi subito o tra un po’, ma della corruzione non si parla più. Come se non ci fosse. O facesse parte del paesaggio. Come la casa di Scajola con vista sul Colosseo.

Bruno Manfellotto – L’Espresso – 13 febbraio 2014

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