L’insonnia rovina il
riposo di 12 milioni di italiani ed è in crescita in tutto il mondo.
Ecco le novità
dell’arsenale chimico per combatterla.
E le avvertenze dei
medici ed enti di controllo dei farmaci: spesso la psicoterapia fa più di una
pillola
Succede di notte: a riposo, e in assenza di luce naturale, si
modificano tutti i parametri vitali e le cellule del corpo si rigenerano.
Intanto il cervello memorizza e “dimentica in maniera intelligente”, come
sintetizzano diversi studi recenti, in particolare quello della University of
Wisconsin School of Medicine. In pratica, fa piazza pulita delle informazioni
superflue per ricominciare il giorno dopo, frescoe “resettato” correttamente.
Accade fisiologicamente, in modo spontaneo. Ma non in tutti.
Non nelle file di quell’esercito di persone (12 milioni solo nel nostro Paese
secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno) che nel mondo soffrono di
forme di insonnia. Per loro, addormentarsi o mantenere un sonno continuo e
ristoratore tutte le notti è una conquista, raggiunta spesso con l’ausilio di
ipnotici (farmaci che agiscono selettivamente sui recettori del sonno) o di
benzodiazepine (attive su diversi neurotrasmettitori coinvolti nell’ansia e
nell’insonnia). Un gruppo di principi attivi al quale potrebbe presto
aggregarsi una nuovissima classe di farmaci a base di suvorexant, alle cui
vicissitudini il New Yorher ha recentemente dedicato un ampio articolo. “Si
tratta di una molecola con meccanismo d’azione completamente diversi rispetto a
ipnotici e sedativi. Agisce sull’orexina, un neuro peptiche prodotto
dall’ipotalamo, la cui cronaca carenza provoca la narcolessia, una malattia
caratterizzata da un’eccessiva sonnolenza. Il suvorexant blocca temporaneamente l’azione dell’orexina,
facilitando il sonno” spiega Lino Nobili, responsabile del Centro di Medicina
del Sonno dell’Ospedale Niguarda di Milano. L’Azienda che ha sintetizzato il
farmaco sperava nella sua registrazione negli States entro il 2013, forte dei
trial clinici eseguiti, che ne dimostrano i vantaggi: ci si addormenta circa
mezz’ora prima e si dorme un’ora in più. Ma l’Fda, l’ente di controllo dei
farmaci americano, non convinto, ha puntato il dito contro gli effetti
collaterali evidenziati, specialmente ai dosaggi più elevati: alta incidenza di
sonnolenza diurna e di pensieri suicidi. E ha rinviato il via libera chiedendo
all’azienda farmaceutica di diminuire la concentrazione di principio attivo e
presentare nuovi studi, che non segnalino più tali (seri) punti deboli.
Intanto c’è già chi ha
puntato sulla induzione al sonno più veloce immettendo sul mercato (da mesi anche in Italia) una
versione in compresse sublinguali di un ipnotico ampiamente utilizzato: lo
zolpidem. “Rispetto alla formulazione classica, questa forma abbrevierebbe i
tempi dell’addormentamento di circa 8-10 minuti. Non molto, tuttavia un arco
significativo per chi soffre d’insonnia, soprttutto dal punto di vista
psicologico”, osserva Nobili.
Già, perché il fattore psiche gioca un ruolo fondamentale nei
disturbi del sonno. “E’ noto che comuni disagi psicologici contingenti, come lo
stress, possono momentaneamente peggiorare la qualità del sonno. Le
preoccupazioni per la perdita del suo controllo, insieme alla paura delle
conseguenze del non dormire bene, alimentano invece un circolo vizioso che
contribuisce a cronicizzare l’insonnia”, spiega Alessandra Devoto, psicologa
accreditata dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e docente a
contratto dell’Università Sapienza di Roma. Senza dimenticare che esiste una
correlazione tra l’insonnia e i disturbi affettivi (come la depressione
maggiore e i disturbi bipolari) e quelli d’ansia. “Spesso si tratta di problemi
concomitanti, che non hanno un chiaro rapporto causa-effetto. Ma, come
evidenziato da alcuni studi, chi soffre di disturbi del sonno ha una
probabilità 4 volte maggiore di sviluppare la depressione e il doppio di avere
problemi d’ansia. Per questo, l’insonnia cronica può essere considerata anche
un fattore di rischio per lo sviluppo di potenziali problemi psicologici”,
osserva Devoto. Non a caso, le benzodiazepine sono prescritte sia per curare
l’insonnia sia i disturbi d’ansia.
“Negli ultimi tempi, anche un farmaco utilizzato per la
depressione stagionale, l’agomelatina, si è rivelato utile per certe forme
d’insonnia, in particolare quelle caratterizzate da risvegli precoci, verso le
3,4 del mattino” osserva Nobili.
L’agomelatina è una
molecola che agisce legandosi ai recettori cerebrali della melatonina, l’ormone secreto dall’organismo a
partire dalle 10 di sera, in assenza di lluce, e che regola i ritmi sonno
sveglia. In pratica, ne rinforza l’azione. Ma anche come molecola attiva, la
melatonina sta conquistando un’attenzione sempre maggiore, sia perché, in
alcuni soggetti migliora la qualità del sonno, sia perché, più in generale, lo
regola. E non è più solo un rimedio proposto per contrastare la sindrome da
jet-lag, ma anche per chi non riesce a mantenere ritmi sonno-sveglia regolari
(giovani che fanno abitualmente le ore piccole; lavoro notturno; età avanzata).
La novità: presto la melatonina non sarà più disponibile come prodotto da banco
per dosaggi superiori a 1 mg, ma solo come farmaco, previa presentazione di
rivetta. E non è una cattiva notizia: “Può così contare su una maggiore
sicurezza ed efficacia, perché sottoposta a un iter di sperimentazione di un
farmaco, osserva Nobili.
Nonostante il paniere
di molecole a disposizione, già relativamente “ricco”, è errato credere che i
medicinali siano la soluzione a tutti i mali d’insonnia. “Mentre i farmaci sono
generalmente indicati quelle di breve durata (qualche settimana), il
trattamento psicologico è d’elezione per le insonnie croniche, che durano
almeno da qualche mese. Tuttavia, i due approcci non sono necessariamente
alternativi, ma possono integrarsi e lavorare in sinergia secondo le
necessità”, spiega Devoto. Ma come funziona, in sostanza, la terapia
psicologica per l’insonnia? Si parte
dalla fase di valutazione, con colloqui, test psicologici specifici e
monitoraggio del sonno con strumenti di valutazione, come l’actigrafo (un
semplice orologio da indossare al polso, che rileva vari parametri del ciclo
sonno-veglia e l’attività motoria durante la notte). Fatta la diagnosi, si
passa al cuore del trattamento, che è breve (da tre a 10-20 sedute di tipo
cognitivo-comportamentale) e integra varie tecniche per rafforzare il sonno
(“controllo degli stimoli”, metodi di rilassamento, regole di “igiene del
sonno”), nonché alcune strategie che correggono atteggiamenti e idee errate.
“Per esempio ritenere che servano almeno 8 ore di sonno per star bene a
qualsiasi età”, avverte Devoto. “E’ una falsa credenza, che può indurre a
trascorrere a letto più tempo del necessario, coricarsi prima di sera e cercare
di fare sonnellini diurni di recupero. Accorgimenti che peggiorano
ulteriormente la qualità del sonno, fino a rendere sempre più difficile
risolvere il problema in autonomia”.
Morale: dopo le prime
notti insonni, meglio non temporeggiare e chiedere l’aiuto di uno specialista per correggere le cattive abitudini
ed evitare che l’insonnia diventi una compagna di vita. E iniziare subito a
seguire semplici regole di “igiene del sonno”: mantenere le abitudini e seguire
i rituali che ci fanno sentire bene e più rilassati prima di coricarsi. Meglio
evitare di fissare luci artificiali dopo le 21-22 (soprattutto iPad e
cellulare) perché interferiscono con la sintesi della melatonina (che dà il via
all’addormentamento), come ribadito da un recente studio pubblicato su Organizational Behavior and Human Decision
Processes. Attenzione anche a porsi nelle condizioni ambientali ai 18
gradi: “Temperature più alte tendono a diminuire le fasi di sonno lento e
profondo, mentre quelle molto più basse possono rendere difficoltoso
addormentarsi”, conclude Nobili.
Claudia Bortolato – Donna di Repubblica – 15 febbraio 2014
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