Avvocati delle proprie
cause perse
Il nuovo codice
deontologico della categoria introduce norme assurde. Come quella che vieta di
rendere noti i nomi dei clienti o offrire prestazioni a domicilio. Di fatto si
limita la possibilità di concorrenza
I lettori mi perdoneranno se questa volta non utilizzerò il
consueto tono un po’ leggero. Infatti, volendo commentare il nuovo codice
deontologico degli avvocati e sapendo quanto la dignità e il decoro nelle
espressioni e nelle critiche siano importanti per la categoria, cercherò di
attenermi a tali canoni.
L’argomento è importante: gli avvocati sono ormai circa 240
mila, costituiscono la maggioranza relativa dei nostri parlamentari e milioni
di clienti sono interessati al comportamento dei loro professionisti. Inoltre,
la corporazione si è distinta per battaglie molto tenaci relative a quelli che
per alcuni sono privilegi o inefficienti restrizioni alla concorrenza, per
altri la difesa di un ruolo costituzionalmente garantito. Insomma, una sorta di
specchio delle dinamiche sociali italiane in tema di regolamentazione
economica.
Il Nuovo Codice sarà a breve pubblicato in Gazzetta
Ufficiale e, in generale, illustra bene perché gli Ordini professionali hanno
una loro funzione nell’assicurare la correttezza dei propri componenti. Le
norme sui conflitti di interesse, l’accettazione degli incarichi, i rapporti
tra colleghi, coi testimoni, i clienti o i minori, in parte sono contenute o
potrebbero essere inserite in leggi ordinarie, ma formano un corpus tutto
sommato utile.
Quando invece si esaminano le disposizioni relative agli
aspetti economici della professione la situazione cambia un po’In positivo si
può dire che non si cerca di reintrodurre surrettiziamente l’antico divieto del
patto di quota lite, secondo cui l’avvocato può essere compensato con una
percentuale del valore dell’affare o di quanto riesce a recuperare nel
contenzioso. E’ una misura che facilita sia l’accesso alla giustizia di chi non
ha mezzi sia la concorrenza dei giovani avvocati che possono offrire la formula
“no win-no pay” (senza vittoria, niente parcella).
Molto restrittive le norme sull’accaparramento di clientela:
l’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o
altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per
l’ottenimento di incarichi professionali. E perché mai? E’ una pratica normale
in ogni attività economica che anzi incoraggia la circolazione di clienti verso
chi è più competente, invece che cedere alla tentazione di proporsi anche
quando non si è troppo forti in materia. Se il tutto è fatto in modo
trasparente e per iscritto sfuggono le differenze rispetto ad avere costosi
dipartimenti interni di marketing, o come si dice ora, di business development.
Passando all’informativa al pubblico, il livello di dettaglio
è elevato. Ad esempio, l’avvocato non può nel presentarsi far riferimento a
titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale. E perché
mai? Se uno è stato presidente. E perché mai? Se uno è stato presidente
dell’Inter, oltre a sapere come far soffrire i tifosi, magari ne capisce
qualcosa in tema di norme relative a gestione di squadre di calcio, acquisti di
cartellino di giocatori (a volte brocchi) e così via. Sembra che la conoscenza
del settore economico dove opera il cliente sia ininfluente per il legale il
quale, seduto alla scrivania, dovrebbe limitarsi a dichiarare: “narra mihi
factum dabo tibi ius”.
Secondo Il Codice, poi, non ai può nemmeno render noto
chi sono i propri clienti, persino col loro consenso, sebbene la prima cosa che
un’impresa voglia sapere è se si sia maturata un’esperienza nel suo business e
con chi, anche per evitare di affidarsi a qualcuno che assiste la concorrenza
(Cola-Cola e Pepsi sono notoriamente incompatibili). Si tratta, come per altri
casi, di proibizione solo italiana, assente negli altri ordinamenti, dove gli
studi legali inseriscono le informazioni nei siti web accessibili…anche agli
italiani.
Si potrebbe continuare
(curioso è il divieto per il professionista di offrire le proprie
prestazioni al domicilio degli utenti. Letteralmente, se Apple chiama per fare
una presentazione, il buon avvocato italiano dovrebbe dire “no, thank you”, ma
può bastare.
La consapevolezza che più concorrenza fa bene non solo ai
clienti ma anche agli avvocati, specialmente quelli esposti al vento della
globalizzazione, non sembra ancora essere maturata all’interno degli organi
rappresentativi della categoria. E’ veramente un peccato.
Twitter@aledenicola
Alessandro De Nicola – L’Espresso – 20 febbraio 2014
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