Paradossi elettorale
Ci sono almeno cinque
stranezze nel progetto Renzi. Quella più assurda?
Si rischia di finire
con due semifinali: tra Pd e grillini alla Camera (dove l’elettorato è più
giovane) e tra Pd e Forza Italia al Senato. La finale?
In manicomio
Vai all’osso, e trovi il paradosso.
E’ la regola non scritta della politica italiana, l’unica
costantemente rispettata. Idee, proposte, innovazioni:; magari rivestite di
buon senso, poi ci guardi dentro e ti trafigge il nonsense. Poteva fare
eccezione la legge elettorale? Intendiamoci: quella congegnata da Renzi è una
buona soluzione, perché tende a riappacificare due nemici, rappresentanza e
governabilità. Ma s’inserisce in un sistema che è diventato un manicomio, e in
manicomio c’entri savio, ne esci pazzo. Più che un leader, servirebbe u o
psichiatra.
E’ Il Caso, Anzitutto, del sistema dei partiti. Il doppio
turno è sempre stato doppiamente inviso alla destra, giacché a quanto pare i
suoi elettori sono pigri, nessuno li convincerà mai a votare per due volte di
fila. In compenso rappresenta la ricetta storica della sinistra: D’Alema lo
prospettava già dal 1997, e poi a seguire Fassino nel 2002, Veltroni nel 2008,
Bersani nel 2011. Adesso lo propone Renzi, sicché il rottamatore è in continuità
con i suoi illustri rottamati. Risultato? Fuoco da sbarramento dal Pd, un
abbraccio da Silvio Berlusconi.
A lui, però, conviene mettere una mina sotto i tacchi di
Letta, e qui allora si profila il secondo paradosso. Perché la legge
elettorale, insieme alla riforma del bicameralismo, allunga la vita al governo,
ma al contempo rompe la coalizione di governo. Da un lato, regala un po’ di
ossigeno all’esecutivo, , gli restituisce un orizzonte temporale (almeno un
anno per correggere anche la Costituzione); dall’altro lato, uccide in culla i
piccoli partiti ( e infatti Scelta civica si è immediatamente dissociata), che
magari reagiranno aprendo una crisi di governo. Dunque l’esecutivo è vivo,
dunque l’esecutivo è morto.
E c’è poi il sistema delle regole,
dove il paradosso s’annida in ogni comma. A partire salla soglia di
sbarramento: 5 per cento, altrimenti nessun seggio. Ma se poi la coalizione
ottiene il 35 per cento, premio di maggioranza al 53 per cento. Qui entrano in
campo i numeri, e sono numeri impazziti. Poniamo che il Pd confermi l’alleanza
con Sel; poniamo ancora che il Pd guadagni il 32 per cento, Sel il 3 per il
cento; quest’ultimo partito risulterà determinante per il successo elettorale,
senza incassare nemmeno un deputato. Oppure immaginiamo una coalizione
affollata come un tram: 7 liste. La prima tocca l’11 per cento, tutte le altre
si fermano al 4 per cento; e fa di nuovo 35 per cento, quindi il 53 per cento
dei seggi in Parlamento. Col risultato che il premio moltiplica per 5 i voti
della prima lista, ed è un premio del 42 per cento: tombola! O infine, dato che
la fantasia non è mai troppa dato che in Italia la realtà politica supera
spesso la fantasia giuridica, supponiamo che le liste coalizzate siano una
decina, quante ne imbarcò nel 2006 l’Unione di Romano Prodi. Supponiamo inoltre
che la loro somma raggiunga il 40 per cento dei consensi, senza che nessuna
lista valichi la vetta del 5per cento: zero
seggi per la coalizione più votata, il premio si trasforma in un
castigo.
Quarto Paradosso: la questione femminile. Su cui il progetto Renzi detta una linea
radicale, tanto da fare invidia agli svedesi: 50 e 50, per ogni pantalone una
gonnella. Difatti le liste sono possono ospitare più di due candidati
consecutivi dello stesso sesso. Ma dove si nasconde il paradosso? Nella
possibilità che il nuovo Parlamento risulti viceversa il più maschile della
storia. Basta collocare gli uomini nelle prime due posizioni, le donne in terza
e quarta fila; dopo di che, siccome ogni collegio esprimerà 5 o 6 deputati,
siccome le liste migliori al massimo potranno conquistarne un paio, le quote
rosa diventeranno nere. Dalla Svezia all’Arabia saudita.
Ma il paradosso più paradossale è il
quinto, perché il doppio turno serve a comprare un governo chiavi in mano, e
perché il bicameralismo sequestra le chiavi. Al Senato, difatti, non votano i
pischelli (dai 18 ai 25 anni); alla Camera sì. E se il voto giovanile si riversasse in massa sui grillini?
Potrebbero uscirne due semifinali: alla Camera, fra Pd e M5S; al Senato, fra Pd
e Forza Italia. E la finale? In manicomio.
michele.ainis@uniroma3.it
– Michele Ainis –
L’Espresso – 6 febbraio 2014
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