Andrebbero rivisti
radicalmente i criteri di selezione degli insegnanti, ma intanto c’è chi spesso
supplisce con le proprie doti naturali ai difetti di molti
La vedo tornare sul tema dell’educazione al sentimento come
parte della funzione scolastica. Ma mi chiedo: come è possibile attribuire al
sistema scolastico il compito di provvedere all’educazione sentimentale degli
adolescenti quando la relazione erotica, che costituisce la base e il veicolo
di questa esperienza formatrice, è un evento individuale, un incontro e una
frequentazione intersoggettiva e irrepetibile?
Io ho fatto il liceo classico e devo la mia “iniziazione” al
sentimento attraverso la cultura non alla finalità formale di quel tipo di
scuola, ma alla professoressa di latino e greco e a quella storia dell’arte.
Quanto agli altri docenti: la professoressa di matematica non mi interrogò mai,
la professoressa di filosofia leggeva e chiosava con un linguaggio astruso da
un manuale che era poco più che una dispensa, il professore di italiano faceva
lunghissime assenze riempite da supplenti pressoché anonimi. Tutto questo per
dirle che mi sento molto fortunato nella mia formazione, più per meriti degli
individui che per come è strutturato il sistema scolastico.
E lo dico dopo essere stato insegnante in questa scuola: così
incapace di sottoporsi a una verifica della qualità delle sue funzioni, a
partire da quella dei dirigenti scolastici che per lo più non si occupano
dell’aggiornamento del personale (in gran parte costituito da casalinghe
laureate e professionisti riciclati in un ripiego), attenti a salvare un
presente mediocre piuttosto che a scommettere su un futuro eccellente.
Paolo Cinque
Per l’educazione
sentimentale a cui la scuola dovrebbe tra l’altro dedicarsi, forse, come
conferma la sua testimonianza, bastano uno o due insegnanti che sappiano
affascinare gli studenti attraverso la cultura e non con la semplice simpatia o
addirittura con l’istrionismo.
Certo, sarebbe meglio
che tutti e nove o dieci insegnanti di una classe fossero all’altezza del loro
compito, ma per questo occorrerebbe un altro sistema di selezione, attento alla
motivazione che è alla base della scelta di questa professione che ha come suo
specifico quello di essere un’arte. E come ogni arte non si impara, ma la si possiede per natura,
come, ad esempio per natura si possiede la vocazione sacerdotale, la
disposizione comprensiva e dialogante col paziente nell’arte medica e in quella
psicoterapeutica.
Gli esami di
abilitazione e i concorsi dovrebbero
verificare non solo la competenza culturale (peraltro non sempre garantita) dei
futuri insegnanti, ma anche la loro passione per la cultura, la loro capacità
di comunicarla e di esercitare, nei confronti degli studenti
quell’autorevolezza , che, contrariamente a quanto si crede, gli studenti sono
i primi a riconoscere a quegli insegnanti che, per effetto di queste loro virtù
(a prescindere dai giudizi e dai voti), motivano l’interesse degli studenti, i
quali, se non altro per ragioni narcisistiche, con quei professori non vogliono
fare brutta figura.
Ma le virtù non si
insegnano, così come non si insegna l'arte di interessare chi ci ascolta. Sono
doti di natura. Ed è su queste doti che la selezione degli insegnanti dovrebbe
avvenire, come di fatto avviene nella selezione di qualsiasi personale, per
qualsiasi professione, anche per l’assunzione di una commessa. Ma nella scuola
no, anche se educare giovani è più difficile che vendere abiti. Non consentire
a un non dotato l’accesso all’insegnamento significa evitare a lui una strada
che non è la sua (e già questo è un
aiuto non trascurabile), e agli studenti che gli dovessero essere affidati anni
e anni di demotivazione, che arrestano non solo la crescita intellettuale, ma
anche quella emotiva e sentimentale che, al pari dell’intelletto, vanno
educate.
Si potrebbero allora
abolire concorsi e graduatorie e affidare la scelta degli insegnanti ai
dirigenti scolastici, dando loro anche la facoltà di licenziare se l’insegnante
non è all’altezza. Ma lei mi dice che neppure i dirigenti scolastici sono
all’altezza del loro compito. Se a ciò si aggiunge il tasso di corruzione e di
favoritismo che caratterizza il costume italiano, allora anche questa mia
proposta diventa impraticabile. A questo punto, per il miglioramento della
scuola non c’è alcuna speranza e dobbiamo accontentarci di quel lumicino tenuto
acceso da quei pochi che si impegnano
per rispetto di sé e della loro professione, e che per giunta devono
supplire anche all’inedia dei molti che per l’insegnamento non sono idonei né
si sforzano di esserlo.
umbertogalimberti@republica.it
– Donna di Repubblica – 1 febbraio 2014
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