Pd, ossia partito
democristiano
E’ in corso una
mutazione gnetica dei democratici.
Renzi vira al centro e
l’incontro con Berlusconi è tattico: disarmare l’avversario per conquistare le
sue truppe. Come fece Togliatti con il qualunquista Giannini
E’ in corso una mutazione genetica nel Pd? Forse sì. Partiamo
dalle poltrone. I duellanti del Pd, Matteo Renzi ed Enrico Letta provengono dalla tradizione
democristiana e il reclutamento della classe dente nazionale e locale installa
in posti chiave ex boy scout di fede para-democristiana sia per la discendenza
diretta, sia per linea acquisita attraverso la filiera Lusi-Rutelli (…). Giusto
l’evangelico proposito di uccidere il vitello grasso quando i figliol prodighi
ritornano all’ovile. Ma analoga attenzione andrebbe riservata ad altre
tradizioni politiche. Invece, lo sgarbo riservato da Renzi al congresso di Sel
rifiutando l’invito rivoltogli indica abbastanza chiaramente qual è il “verso”
del segretario Pd: barra al centro. Del resto, i delegati renziani al Congresso
di dicembre si collocano in maggioranza proprio al centro dello schieramento
politico, ben lontani dall’orientamento più di sinistra degli elettori delle
primarie, come risulta dall’inchiesta condotta da Paolo Natale, pubblicata sul sito
web de Il Mulino. Il problema è che fare le alleanze per le giunte locali (terà
in 39 comuni, questa primavera) sarà un bel rebus se va avanti così. Con chi
stringerà accordi il partito democristiano: con Dudù – per riprendere
l’espressione del segretario Renzi. Finora il Pd governa nella maggioranza
delle città grandi e medie grazie ad ampie coazioni aperte a sinistra.
Forse Ora la nuova segreteria pensa di poter
vincere sempre e comunque da sola. Non sarà facile nemmeno con la legge
elettorale cucinata nelle trattorie fiorentine perché dovrà constatare un centro-destra ampio, che
da Forza Italia si estende ai Fratelli d’Italia in via di rinforzo con tutte le
anime sparse nostalgiche, alla Lega che al momento buono scende sempre a miti
consigli, e persino al Ncd di Alfano che difficilmente potrà allearsi con il Pd
visti gli schiaffoni che sta prendendo da Renzi e l’ostilità alla sinistra
della sua potenziale base elettorale. Eppure l’attivismo renziano sembra
escludere intese o alleanze di antico conio. Allora la strategia è proprio
quella di tentare il colpo grosso: rimettere in sella il partito a vocazione
maggioritaria di veltroniana memoria. Certo, il Pd ha ancora un serbatoio di
iscritti e un potenziale di mobilitazione inarrivabile agli altri partiti; ma
non basta perché non è detto che queste risorse si mantengano inalterate. A
forza di primarie aperte, perché mai uno deve iscriversi se poi non ha nemmeno
il potere di scegliere i propri dirigenti e candidati? A meno di non voler fare
dell’iscritto un smeplice donatore di fondi come per una qualsiasi Onlus, è
necessario offrirgli qualche incentivo in più. Quali non è dato sapere.
Ammettiamo Però che fiutando l’odore della vittoria
– la ragione principale per cui è stato plebiscitato Renzi alle primarie – il
partito non si squagli. Come attrarre allora tanti nuovi elettori?
Risposta: puntando al centro, per fare del Pd la nuova Dc
della terza repubblica. L’incontro con Berlusconi può essere visto in questa
ottica. Mentre sotto un profilo etico- politico è stato inopportuno e
soprattutto sguaiato per l’enfasi accordatagli (tutt’altra cosa se lo avesse
convocato ufficialmente e pubblicamente come tutti gli altri, invece di
riservargli una corsia preferenziale), sotto un profilo tattico l'intento
potrebbe essere quello di “disarmare” l’avversario per conquistare le sue
truppe. Così come Palmiro Togliatti incontrò Guglielmo Giannini, il leader dei
qualunquisti del primo dopoguerra, e andando nella tana del leone dimostrò che
aveva denti di carta, altrettanto tenta di fare Renzi con Berlusconi, benché i
denti del caimano siano ben più affilati. In questo progetto il partito
democratico non può che andare incontro ad una mutazione genetica: piazzato al
centro, con un partito fluido e una nuova classe dirigente, interessato a
rinverdire i fasti fanfaniani e demitiani di subordinazione dell’economia
pubblica alla politica visto l’interessamento di Renzi per prossime nomine, il
partito da “democratico” è in via di trasformazione in “democristiano”.
Piero Ignazi – L’Espresso – 6 febbraio 2014
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