Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le
dissi: “Voglio il divorzio”.
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente:
Perché?”.
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa,
per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa,
l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo
strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per
cominciare l’indomani: “Devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando
mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima
volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi
fuori dalla porta di casa”.
Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii.
Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue
imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e
dicendo: “Grande papà, ha preso la mamma in braccio!”
Il secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si
appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione. Mi resi conto
che era tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così
giovane, qualche ruga, qualche capello bianco. Il quarto giorno, prendendola in
braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi:
questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua
giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più. Ogni
girono era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente.
Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo ogni giorno che passava
la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella
nostra stanza e disse: “Papà, è arrivato il momento di portare la mamma in
braccio”. Per lui era diventato un momento basilare della sua vita. Mia moglie
lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che
cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Orami prenderla in braccio e portarla
fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa
quando ci sposammo….la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e
delicata…mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e
la ragazza del negozio mi disse: “Che cosa scriviamo sul biglietto?”.
Le dissi: “Ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita
finchè morte non ci separi”.
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi
dissero che mia moglie era all’ospedale in coma.
Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un
mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre
meraviglioso e innamorato della madre.
“Non so chi o che cosa
abbia posto la domanda. Non so quando sia stata formulata. Eppure a un certo
punto ho risposto ”sì” a Qualcuno o a qualcosa. A partire da quel momento ho
avuto la certezza che la vita aveva un senso”
(Dag Hammarskjold). Bollettino Salesiano – Gennaio 2014
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