Spararle grosse.
L’ultimo vizio italiano
è il turpiloquio.
C’è stato un picco,
nella settimana scorsa, nel dibattito sul turpiloquio in Italia. Le
intercettazioni (abusivissime) del ministro Nunzia Di Girolamo (giustamente
amareggiata) e lo sfogo post adrenalinico da Oscar di Toni Servillo – il nostro
nuovo Marcello
Mastroianni, fortunato perché visse in epoca precellulare – sono indicate come
esempi terribili del nostro declino culturale, politico, civile.
Storia lunga, quella del cazzo e del culo e dei loro rapporti
con la lingua ufficiale italiana. Gli annali ne sono pieni. Per rimanere nel
dopoguerra, gli storici sostengono che la parola “cazzo” fu pronunciata per la
prima volta da Cesare Zavattini alla radio nel 1970, mentre nello stesso periodo
Pasolini scrisse, facendo scandalo, “L’Italia è un casino” sulla prima pagina
del Corriere della sera.
Cazzo, dagli anni Ottanta ( vedi Grazia Cherchi e Sebastiano
Vassalli) è diventato parte integrante del linguaggio italiano, con le più
diverse connotazioni. Volgare, ma anche democratico, liberatorio e spesso
contradditorio. E che cazzo. Testa di cazzo. Ho i cazzi miei. E’ diminutivo,
esclamativo, rafforzativo, addirittura è diventato istituzione e patriottico,
come nel drammatico “Salga a bordo, cazzo!” rivolto dallo stentoreo capitano De
Falco all’imbelle capitano Schettino (ne hanno fatto pure le magliette).
Suggestiva anche la diffusione del termine siciliano “minchia”, femminile che
sta per cazzo, anche fuori dalla regione di origine. La lingua siciliana – che
Freud ci aiuti, e presto! – pone un vero problema chiamando il pene al
femminile, “la minchia” e di converso la vagina al maschile, “lo sticchio”. Che
stia tutta qui, in questo equivoco linguistico, l’origine della mafia e della
conseguente trattativa tra i Ros dei carabinieri e don Vito Ciancimino?
Freud dovrebbe venire in aiuto anche a proposito del vaffa.
Perché qui la cosa diventa più seria. Lo sfoggio verbale del “vaffanculo”, un
tempo invettiva sconsolata contro il fato maligno, si è effettivamente
trasformato in qualcosa di diverso nel linguaggio politico. Le origini (forse)
stanno nel “Me ne frego” dei fascisti, ma il vaffanculo odierno è sicuramente
torvo e losco. Lo usò e fu la ragione del suo successo, Umberto Bossi, e lo
ripete ancora, patetico ma pur sempre infame, ora che è vecchio. C’era, in quel
“la lega ha il manico” tutta la filosofia della Padania, il trionfo del suo
movimento politico sarebbe stato sodomizzare Roma. Lo ha usato ufficialmente
Beppe Grillo, con i suo Vaffa Days. Forse non abbiamo fatto abbastanza
attenzione al linguaggio, ma il M5S è il primo movimento politico in Europa,
che io conosca, che si riconosce in un leader che grida ossessivamente solo
vaffanculo , che invoca morte, evoca l’aggressione sessuale, l’omofobia, il
macismo. Purtroppo, il suo turpiloquio è alla base dei quasi nove milioni di
voti. Forse la stiamo facendo troppo tragica, ma il fascismo nacque come
linguaggio. Contro il vaffa, difficile opporsi. Ma un’idea ci sarebbe: mandarli
davvero, con viaggio pagato, come proponeva quel vecchio di nome Alberto Sordi,
nel ridente paese di Affanculo.
Enrico Deaglio - il Venerdì di Repubblica 24-gennaio-2014
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