L’Ideologia Del Food E Il Mercato Del Cibo Cattivo
Scrive Ippocrate:”Un medico deve sapere
che cos’è un uomo in rapporto a ciò che mangia e a ciò che beve, e quali sono
le conseguenze che ne derivano.
Tra
i molti argomenti che sono stati trattati nella sua rubrica in D di Repubblica,
che potrebbero formare una mini enciclopedia tematica, ne manca uno, che pure
interessa tutti: il cibo. L’argomento in generale è troppo vasto, perché il suo
valore simbolico rimanda a molti campi del sapere. Se ne può restringere
l’ambito del sapere. Se ne può restringere l’ambito a quello che sta succedendo
in questo primo decennio del nuovo millennio, in cui si dice che “il cibo oggi
è tutto” (Carlo Petrini). La nuova ideologia del food è venuta a sostituire la
crisi delle ideologie. Tutti i ne sono investiti. La video gastronomia impazza
come un tormentone in ogni canale tv. Quello del cibo è l’unico settore che
oggi non conosce crisi producendo altro cibo. Paradossalmente, il nuovo
scenario nei Paesi a economia matura segnala aspetti tra loro in
contraddizione: all’enorme aumento in termini di produzione e consumo di cibo
corrisponde la sua decadenza e corruzione in termini di qualità sotto il
profilo nutrizionale e salutare; all’enorme spreco nelle società opulente, dove
ci si ammala e si muore per eccesso di cibo (diabete, obesità, cardiopatie,
ictus, disturbi alimentari), fa riscontro nei Paesi sottosviluppati il fenomeno
opposto: quasi un miliardo di persone patiscono o muoiono per penuria di cibi.
Passo la penna a lei.
Zammataro
Salvatore
zammataro
-salvatore@fastwebnet.it
L’importanza del cibo è dovuta non tanto
a una nuova ideologia subentrata al crollo delle ideologie politiche, quanto al
fatto che il cibo tocca valenze simboliche profondamente radicate in ognuno di
noi dalla notte dei tempi, quando per vivere, l’uomo doveva superare due
problemi: trovare cibo e non diventare cibo per altri. Se il secondo problema,
almeno noi occidentali, l’abbiamo risolto, sul primo esiste ancora qualche
incertezza, a giudicare dall’attenzione con cui nei supermercati si guardano
gli alimenti, si controllano le date di scadenza, si leggono gli ingredienti,
si verifica la provenienza, perché il passaggio che il cibo ha subito negli ultimi
cinquant’anni, dal trattamento naturale al trattamento tecnico, genera qualche
dubbio e qualche perplessità.
Non è passato molto tempo da quando
siamo stati informati di farine animali date in pasto a erbivori o a pesci
negli allevamenti ittici, di animali imbottiti di antibiotici per evitare
malattie, di palmipedi ammassati e inchiodati per l’ingrasso in ambienti con le
luci sempre accese per accelerarne la crescita, di maiali e bovini ingabbiati
che non hanno mai visto un prato, e ora di cibi transgenici per la loro
migliore appariscenza e conservazione.
Tutto ciò rende il nostro rapporto con
il cibo, già di per sé complicato per le sue connotazioni psichiche (si pensi a
quegli estremi rappresentati dall’anoressia e dalla bulimia), particolarmente
inquieto, E’vero che oggi si mangia meglio che in passato, ma è altrettanto
vero che è aumentata l’incidenza cancerogena legata al cibo, in diverse zone le
falde acquifere, abbiano seppellito rifiuti pericolosi sotto la terra dove
pascolano animali, per cui anche il cibo di conseguenza ne risente.
La globalizzazione ha sostituito
progressivamente la cucina tradizionale con la cucina di altri paesi del mondo,
diversificando i nostri gusti ma facendoci perdere anche la memoria della
nostra storia alimentare, e il valore della tradizione. Ma accanto alla
diversificazione dei gusti, assistiamo anche a una loro progressiva uniformità,
indotta da consumi alimentari sempre meno specializzati e sempre più
indifferenziati. Penso a quei cibi precotti, precucinati, preaffettati che
rispondono alla mancanza di tempo del
consumatore moderno, che finisce col depotenziare il cibo a puro elemento
nutrizionale, perdendo tutti quei valori di socializzazione, incontro,
amicizia, che, da che mondo è mondo, al cibo autentico e ben curato sono stati
sempre connessi.
Se poi consideriamo che la crisi che
stiamo vivendo porta a risparmiare, comprando cibi a minor prezzo e ovviamente
di minor qualità, avremo anche nell’alimentazione la prova provata che la
differenza di classe non è un retaggio delle ideologie del Novecento, ma è
testimoniata, come in America, dai corpi dei poveri, che sono grassi e mal
fatti non perché mangiano molto, ma perché mangiano male.
Umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 27-7-13
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