Etichette

venerdì 23 agosto 2013

Lo Sapevate Che: E Se La Vera Prigione Fosse La Nostra Mente?


Vivere senza paura, e di conseguenza con ottimismo, sicurezza di sé e speranza, non significa chiedere gli occhi davanti alla sofferenza, né è frutto di una peculiarità personale che alcuni possiedono e altri no.
In ogni epoca, l’assenza di paura è stata il tratto che ha accomunato i pensatori spirituali della visione rigenerante, in contrasto con l’idea che noi esseri umani siamo particelle accidentali in un universo indifferente al nostro destino, e la nostra evoluzione un processo casuale privo di scopo.
Il momento in cui scegliamo di guardare al di là delle circostanze coincide in realtà con l’inizio del nostro viaggio spirituale. Quando cominciamo ad attingere alle risorse interiori di cui tutti disponiamo, può inizialmente succedere di entrare in contatto con nuoce paure. La paura che il nostro attuale stile di vita, quello che siamo abituati a considerare come l’unico possibile, possa invece essere a rischio. La paura di sembrare stupidi, di sbagliare, di avere privilegiato le cose sbagliate ed essersi lasciati sfuggire quelle più importanti. (I greci hanno una parola per definire questo errore di valutazione: amartia, che tra parentesi si può tradurre come “peccato”).
La paura di conoscere Dio è in realtà una paura che nutriamo per il nostro ego, il quale si costruisce intorno a ciò che pensiamo di essere, che sosteniamo di essere davanti agli altri, e che vogliamo sembrare. Chi è stato accanto a una persona malata di Alzheimer sa che questo genere di esperienza può metterci profondamente in discussione, in quanto ci consente di capire che in noi esiste qualcos’altro oltre all’ego, alla mente e alla personalità. Bernard Levin, il mio primo amore poi divento un amico per tutta la vita, fu colpito da questa malattia negli anni Novanta. Ero al suo fianco quando intraprese il viaggio in quel mondo parallelo. Nel 1988 venne a stare da me a Santa Barbara, e consultammo diversi dottori di Los Angeles per capire come mai Bernard perdesse in continuazione l’equilibrio e non riuscisse a ricordare certe parole. Ripensandoci oggi, mi stupisce che nessuno abbia diagnosticato un principio di Alzheimer.
Il momento più duro, per me e naturalmente ancor di più per lui, arrivò quattro anni dopo. All’epoca io vivevo a Washington, e Bernard venne a stare a casa mia. Lo strumento di cui era stato maestro – la parola – lo stava abbandonando. L’ultima volta che lo vidi, a Londra, poco prima che morisse, l’Alzheimer era progredito al punto che di me Bernard non conservava più alcun ricordo. Bevemmo il tè insieme, uno dei suoi riti preferiti. Ma per quanto mi sforzassi di accennare ai ricordi, nomignoli, momenti condivisi, stabilire una connessione fu impossibile. Di fronte a me c’era l’uomo che mi aveva fatto conoscere il meglio della letteratura, dell’arte, dell’opera, eppure in quel momento ebbi la sensazione che mi stesse insegnando, nel più doloroso dei modi, qualcosa di molto più profondo: che neppure il cervello più brillante, può definire, se non in minima parte, ciò che siamo. Che anche i nostri risultati più straordinari sono solo una piccola parte di noi.
Fu una lezione davvero crudele.
“Ho cominciato a domandarmi, ha scritto una volta Bernard, “come sarebbe trovarsi prigionieri nella realtà anziché nella fantasia, e sono giunto alla conclusione, sorprendente e inquietante insieme, che a condizione di poter leggere e scrivere ciò che mi aggrada, e di avere un compagno di cella amabile (o meglio ancora una condanna alla prigionia in isolamento), non troverei la cosa affatto terribile come dovrei”. Ormai tutto questo gli era negato, eppure in lui percepivo una presenza emotiva intensa, diversa da qualsiasi altro suo aspetto avessi mai conosciuto, come se le qualità intellettuali e i successi avessero smesso di mascherare l’essenza della sua persona. Ho sentito altre persone raccontare di esperienze simili. E’ come se, venuta meno la mente, qualcos’altro cominciasse a brillare, qualcosa che fino a quel momento era stato bloccato dall’instancabile fabbrica dell’intelletto. E dunque, come nella malattia una persona può trovare nuova vita, allo stesso modo il suo spirito può trovare nuova vita al di là della mente.
(traduzione di Matteo Colombo)
Arianna Huffington - Donna di Repubblica - 3-8-13 

Nessun commento:

Posta un commento