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martedì 13 agosto 2013

Lo Sapevate Che: Ci Voleva La Cassazione...

Ci Voleva La Cassazione Per Capire Che Il Cavaliere
Non Era Uno Statista?

Scrivendo questa rubrica nelle ultime ore utili – una caldissima serata alla stazione di Milano – adesso che la prima delle sentenze è infine arrivata (pur con quel sadico rinvio ad un nuovo calcolo sull’interdizione),
mi è venuto in mente quel famoso mantra che diceva: “Berlusconi non si batte per via giudiziaria”, intendendo che la politica era una cosa più importante delle bagatelle dei tribunali. Era un mantra della sinistra realista e responsabile, per la quale Berlusconi era un competitor con cui scontrarsi in campagna   elettorale, ma anche con cui governare ( come oggi) e con cui riformare la costituzione.
Tutto cominciò nel 1994 con la strepitosa vittoria elettorale di Forza Italia, seguita d un’altrettanto strepitosa caduta del governo appena sette mesi dopo. Quando si tornò alle urne nel 1996, vinse – in netta contrapposizione al berlusconismo – l’Ulivo di Romano Prodi, ma gli annali della Repubblica raccontano che immediatamente quella vittoria venne messa in discussione. Per volere di Massimo D’Alema, allora leader del Pds, Berlusconi venne promosso “statistica” e chiamato a far parte di una commissione bicamerale da lui presieduta e incaricata di scrivere addirittura una nuova costituzione. Lì si discusse (esattamente come oggi) di sofisticate architetture elettorali e raffinate forme di governo, si toccarono alte vette sull’ininterpretazione dell’autonomia della magistratura, prima che lo statista Berlusconi (estate 1998, quindi anni fa) rovesciasse il tavolo e dichiarasse che la sua forma di governo preferita era lui cancelliere con il pieno controllo dei media e dei giudici. Così finì la Bicamerale.
Pochi mesi dopo anche il governo Prodi finì impallinato, da Fausto Bertinotti. Come fu possibile allora un sbaglio così grande sulla natura del berlusconismo, ancora non si sa. Probabilmente D’Alema rimase impressionato dalla potenza che Berlusconi aveva dispiegato; e dal favore popolare che incontrava. Eppure già allora, gli elementi del ritratto c’erano tutti, politici e giudiziari: l’iscrizione alla P2, gli affari con la mafia, i fondi neri per comprare deputati, senatori, finanzieri, giornalisti, calciatori, l’uso dittatoriale dei media, lo sdoganamento dei fascisti.
Non era uno statista e non c’era bisogno della Cassazione per capirlo (l?Europa se ne era accorta subito), ma la sinistra italiana non volle mai accettare di cambiar il suo giudizio originario, né di analizzare il fenomeno, né di stabilire uno spartiacque a difesa di valori, idee, moralità.
Non c’è che dire. La Cassazione ha fatto un bel danno. Ha costretto la politica a prendersi qualche responsabilità. Forse è too little. Too late, però. Il primo agosto sarà ricordato sui libri di storia per la condanna del Cavaliere ma anche perché la Gazzetta Ufficiale ha annunciato che Licio Gelli non potrà più fregiarsi del titolo di Commendatore che aveva ricevuto nel 1966.

Enrico Deaglio – Annali di Venerdì di Repubblica – 9-8-13

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