Ci Voleva La Cassazione Per Capire Che
Il Cavaliere
Non Era Uno Statista?
Scrivendo questa rubrica nelle ultime
ore utili – una caldissima serata alla stazione di Milano – adesso che la prima
delle sentenze è infine arrivata (pur con quel sadico rinvio ad un nuovo
calcolo sull’interdizione),
mi
è venuto in mente quel famoso mantra che diceva: “Berlusconi non si batte per
via giudiziaria”, intendendo che la politica era una cosa più importante delle
bagatelle dei tribunali. Era un mantra della sinistra realista e responsabile,
per la quale Berlusconi era un competitor
con cui scontrarsi in campagna
elettorale, ma anche con cui governare ( come oggi) e con cui riformare
la costituzione.
Tutto
cominciò nel 1994 con la strepitosa vittoria elettorale di Forza Italia,
seguita d un’altrettanto strepitosa caduta del governo appena sette mesi dopo.
Quando si tornò alle urne nel 1996, vinse – in netta contrapposizione al
berlusconismo – l’Ulivo di Romano Prodi, ma gli annali della Repubblica
raccontano che immediatamente quella vittoria venne messa in discussione. Per
volere di Massimo D’Alema, allora leader del Pds, Berlusconi venne promosso
“statistica” e chiamato a far parte di una commissione bicamerale da lui
presieduta e incaricata di scrivere addirittura una nuova costituzione. Lì si
discusse (esattamente come oggi) di sofisticate architetture elettorali e raffinate
forme di governo, si toccarono alte vette sull’ininterpretazione dell’autonomia
della magistratura, prima che lo statista Berlusconi (estate 1998, quindi anni
fa) rovesciasse il tavolo e dichiarasse che la sua forma di governo preferita
era lui cancelliere con il pieno controllo dei media e dei giudici. Così finì
la Bicamerale.
Pochi
mesi dopo anche il governo Prodi finì impallinato, da Fausto Bertinotti. Come
fu possibile allora un sbaglio così grande sulla natura del berlusconismo,
ancora non si sa. Probabilmente D’Alema rimase impressionato dalla potenza che
Berlusconi aveva dispiegato; e dal favore popolare che incontrava. Eppure già
allora, gli elementi del ritratto c’erano tutti, politici e giudiziari:
l’iscrizione alla P2, gli affari con la mafia, i fondi neri per comprare
deputati, senatori, finanzieri, giornalisti, calciatori, l’uso dittatoriale dei
media, lo sdoganamento dei fascisti.
Non
era uno statista e non c’era bisogno della Cassazione per capirlo (l?Europa se
ne era accorta subito), ma la sinistra italiana non volle mai accettare di
cambiar il suo giudizio originario, né di analizzare il fenomeno, né di
stabilire uno spartiacque a difesa di valori, idee, moralità.
Non
c’è che dire. La Cassazione ha fatto un bel danno. Ha costretto la politica a
prendersi qualche responsabilità. Forse è too
little. Too late, però. Il primo agosto sarà ricordato sui libri di storia
per la condanna del Cavaliere ma anche perché la Gazzetta Ufficiale ha
annunciato che Licio Gelli non potrà più fregiarsi del titolo di Commendatore
che aveva ricevuto nel 1966.
Enrico
Deaglio – Annali di Venerdì di Repubblica – 9-8-13
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