In
Italia essere liberali non costa nulla. Non costa nulla perché è sufficiente
dichiararsi tali, non serve comportarsi di conseguenza. Basta autodefinirsi
eredi della Thatcher per vincere le elezioni; si può governare un’intera
legislatura con una sostanziosa maggioranza, senza liberalizzare o privatizzare
alcunché e poi ripresentarsi alle elezioni come paladini del libero mercato.
Si
può fare perché gli italiani lo permettono.
A
volte anzi gli stessi italiani che si dicono favorevoli al cambiamento, quando
poi si trovano a dover ridisegnare il mondo, a dover cambiare le cose, ci
riflettono per tanto, troppo tempo. E rimandano. Preferiscono chiudersi,
difendersi. Consolidare l’esistente, trovarsi una nicchia (magari di piccolo
privilegio) e nascondervisi dentro.
E
i politici sono come gli. In campagna elettorale si promette di cambiare le
cose, ma quando si arriva al potere, ci si accorge che nella stanza dei bottoni
tanto male non si sta. E si lascia tutto come lo si è trovato. Invece di progettare
l’esistente, si pensa a sostituire le oligarchie al posto di comando.
In
questo modo non cambia mai nulla.
In
Italia è difficile far digerire l’idea che siamo tutti uguali. Che ognuno di
noi ha diritto di avere tutte le opportunità che vuole. Che ciascuno,
preparandosi, studiando, lavorando, ha diritto di far valere il proprio merito
per il bene della collettività. Che ognuno di noi ha il diritto di essere
valutato per quello che fa, non per quello che pensa o per il percorso
intrapreso fin qui.
O
per quello che ha.
In
Italia non esistono per opportunità. Il figlio di un ricco è destinato a essere
ricco (a meno che non si rovini da solo), il figlio di un povero è destinato a
essere povero (a meno che non accetti di lottare per scardinare le regole del
gioco). In Italia i notai generano notai, i farmacisti generano farmacisti, i
tassisti generano tassisti. I banchieri banchiere, i professori professori, i
politici politici. Nel Paese in cui i politici di cinquant’anni sono
considerati dei giovani rampanti, quelli che giovani lo sono davvero sono
considerati intrusi, gli stranieri una minaccia, i concorrenti degli
abusivi.
In
una società che invecchia proteggendo se
stessa, si gioca ormai da decenni lo stesso gioco: il Monopoli.
Il
Paese è suddiviso in caselle ben distinte, immutabili, sempre le stesse, ognuna
impermeabile all’altra, come quella plancia di Monopoli.
…
Durante
il gioco si superano le caselle di Via XX settembre (sede del ministero del
Tesoro), di viale Mazzini (sede della Rai), di Parco della Vittoria (il luogo
per definizione più ambito dai costruttori del Monopoli), si passa per la
casella Farmacia, si arriva in viale dell’Università, ci si ferma in via
Nazionale (sede di Bankitalia) e si giunge infine all’arrivo.
Vince,
come tradizione, i più ricco. Ma non è questa la cosa più grave. Scopriremo
infatti che a tanti non è addirittura consentito giocare.
…
Si
può dire la verità, e favorire chi non lo merita. Si può fare un errore, e
aiutare chi è nel giusto. Mi è sempre stato difficile comprendere appieno la
natura delle varie cordate, correnti e sottocorrenti che si allineano e si
combattono nella politica e nella finanza.
Mi
sono sempre limitato a descrivere le cose che vedo.
Buona
lettura – Giovanni Floris
Giovanni
Floris – Monopoli – conflitti d’interesse, caste e privilegi
dell’economia italiana
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