“Spettatore
frustrato”. E’dura la definizione che il New
York Times usa per descrivere il presidente americano alle prese con la
tragedia egiziana. Cairo, giugno 2009: com’è lontano quel discorso di Obama.
Allora
il presidente degli Stati Uniti voleva aprire un’èra nuova nei rapporti tra
l’Occidente e il mondo arabo. In quell’appassionata perorazione di quattro anni
fa – sul valore del dialogo, sull’universalità dei diritti umani – qualcuno
vide in seguito uno dei germi culturali delle primavere arabe. Ma oggi il
termine “primavere arabe” viene usato quasi con scherno, da chi vuole
sottolineare un bilancio funesto per quei popoli e anche per la politica estera
di Obama. Lo scandalo di Bengasi fu il segnale premonitore. Non basta che Hillary
Clinton si sia tolta provvisoriamente dalla scena, portando su di sé l’onta di
quell’attacco: quattro funzionari Usa uccisi, compreso l’ambasciatore in Libia,
per un offensiva targata Al Qaeda che l’intelligence Usa avrebbe dovuto
prevenire. Poi il disastro Siria: nonostante la voce grossa e le sanzioni.
Assad resta al suo posto con un bilancio di massacri che perfino l’esercito
egiziano fatica a emulare.
Ma
l’Egitto è più grave, lì si consuma la madre di tutte le disfatte per la
politica mediorientale di Washington. Di fronte alla carneficina provocata dai
militari, Obama ha reagito con una timidezza disarmante, (Peggio di lui ha
fatto solo John Herry, segretario di Stato, che in un’incauta intervista
all’inizio delle violenze ha descritto una giunta militare impegnata a
“restaurare la democrazia”).
Obama
ha cancellato la vendita di alcuni jet militari, e le esercitazioni congiunte
previste il mese prossimo. E’ pochissimo. A Washington è palpabile un senso di
smarrimento e di impotenza. Anzitutto, si capisce che per molti mesi la Casa
Bianca, il Dipartimento di Stato e il Pentagono hanno commesso errori
grossolani di analisi della situazione egiziana. Per esempio, sopravvalutando
la coesione della società civile e sottovalutando i rischi di una guerra civile.
Incertezze e dilettantismi anche da parte dei diplomatici Usa in loco, hanno
dato la sensazione che l’America stesse un po’ con tutti: dai Fratelli
musulmani, ai laici, ai militari. L’intero arco delle crisi aperte dal 2010 in
poi, dalla Tunisia alla Turchia passando per la Libia, la Siria, il Libano e
l’Egitto, avrebbero richiesto un riesame profondo delle forze in campo e una
revisione strategica, che l’Amministrazione Obama non ha saputo fare.
Ora
la timidezza di Obama viene descritta come una fora di estremo realismo. A che
servirebbe – dicono i suoi consiglieri – tagliare gli aiuti ai militari
egiziani (1,5 miliardi) privando gli Usa dell’ultima arma di pressione per
influenzare il loro comportamento? Da una parte il Pentagono insiste nel
descrivere quegli aiuti come un ottimo investimento: in cambio, L’America ci
guadagna la libertà di sorvolo dei cieli egiziani per i suoi jet militari; una
“corsia preferenziale” (anche per la US Navy) nel Canale di Suez; la pace tr
l’Egitto e Israele; infine un quasi perfetto allineamento del Cairo sulle
posizioni della diplomazia Usa in Medio Oriente. Di converso, proseguono le
fonti dell’Amministrazione, senza quegli aiuti Usa i militari del Cairo
troverebbero ben altre risorse, L’Arabia saudita ha già promesso 8 miliardi
subito ai generali egiziani, e potrebbero salire a 12 col contributo degli
emirati del Golfo. L’Arabia saudita non ha mai accettato la dottrina Obama
sulle primavere arabe, considera destabilizzanti le aperture americane verso i
movimenti anti-autoritari, dalla Tunisia in poi. Un vasto disegno restauratore
con gli immensi mezzi finanziari delle dinastie del Golfo è pronto a
sostituirsi all’influenza degli Stati Uniti. Altri sono in agguato a cominciare
da Vladimir Putin che sogna di recuperare l’Egitto come un protettorato di Mosca,
qual era i tempi di Nasser. La Cina è interessata a infilarsi come u attore
strategico in zone da cui dipendono i
suoi approvvigionamenti energetici. Queste considerazioni non tolgono nulla
alla sensazione di impotenza che avvolge la Casa Bianca. Obama sta scontentando
un po’ tutti. In Egitto sia i militari che i laici che gli islamici diffidano
di lui. Fino alla beffa di vedersi rinfacciare dal governo l’accusa di “aiutare
i terroristi”, In altre parti del mondo la credibilità della leaderschip
americana è messa in dubbio, L’opinione pubblica più liberal in America assiste
sgomenta allo spettacolo di n presidente che non osa pronunciare la parola
“golpe” (automaticamente lo costringerebbe a cancellare gli aiuti). Dopo avere
inviato al Cairo per una missione esplorativa il suo ex rivale repubblicano
John McCain, ora Obama viene sconfessato anche dal vecchio senatore di destra,
con parole che fanno male, perché sono vere. “per non aver chiamato un colpo di
Stato con il suo nome, abbiamo calpestato le nostre leggi, e abbiamo tradito i
nostri valori”.
Federico
Rampini – La Repubblica – 17-8-13
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