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venerdì 28 luglio 2017

Lo Sapevate Che: Se il nido perfetto è in cella con mamma...



Alyssa Nayer Aprì la porta della sua stanza nel motel, aspettandosi di vedere il fidanzato con il cartone della pizza che era uscito a comprare. E il fidanzato c’era, ma non era solo. Accanto a lui, in manette, c’erano due uomini in blu della polizia di Kingston, New York, che la arrestarono. Ma prima di ammanettarla, dovettero sollevarla dal pavimento dove Alyssa era collassata, sotto il peso di un’emozione pesante come il pancione di otto mesi. Poche ore più tardi, nell’infermeria del carcere di Bedford Hills, metteva al mondo una bambina. Una neonata che sarebbe divenuta una dei tre milioni e mezzo di piccoli detenuti per la sola colpa di essere figli di madri dietro le sbarre. Con la crescita continua delle donne nelle carceri americane (sono il 14 per cento dei detenuti) e l’abbassamento della loro età media, ormai vicina ai 30 anni, il sistema penitenziario statunitense deve affrontare un dramma inedito e antichissimo: il fatto che le donne continuino a mettere al mondo bambini, sia entrando nelle carceri già incinte, sia dentro, negli incontri cosiddetti “coniugali”. E nessuno sa come trattarle. Ogni Stato ha i propri regolamenti. Se partorirai in un penitenziario dell’Alabama ai Servizi sociali che lo terranno in custodia fino a quando tu, mamma, sarai rimessa in libertà e un tribunale stabilirà se sei in grado di prendertene cura. A new York, i warden, i direttori dei penitenziari, permettono alle donne di tenere il bebè, creando non pochi attriti con altre carcerate costrette a dividere la propria cella con neonati rumorosi e piagnucolosi. Ma ora si tenta una terza soluzione: nelle nuove carceri nascono asili nido, sorvegliati dalle guardie ma gestiti dalle detenute. Che devono provvedere con soldi propri a tutto ciò che non sia il minimo per l’alimentazione. Le donne fanno i turni per occuparsi dei bambini di tutte, liberando così per qualche ora le madri dalle estenuanti fatiche della maternità. I locali sono arredati e colorati esattamente come i normali nidi e la sicurezza è blanda, per due ragioni: se una donna evadesse, la pena, quasi sempre di pochi anni legata a reati di traffico di droga o piccoli furti, raddoppierebbe in durata e severità. In più, quella madre, riacciuffata, perderebbe il controllo della propria creatura, scaricata agli orfanotrofi pubblici. Il deterrente dell’amore materno sembra funzionare. Tra le 200mila mamme carcerate che usufruiscono di asili nido per i figli, soltanto una ha tentato la fuga, fingendosi la pediatra di servizio. E appena il 17% delle carcerate torna dentro per recidiva, una frazione dell’esercito dei detenuti che entrano ed escono. Alyssa, che si era beccata due anni come complice del suo ragazzo pusher, uscita dal carcere (che disponeva di un asilo nido) dopo avere scontato solo un anno, ha fatto degli asili addirittura una professione. Con altre ex detenute mamme che organizzano una piccola società che si occupa dei nidi nelle prigioni. Con un modesto contributo dallo Stato, cura l’asilo dove la sua bambina è cresciuta, la porta a giocare con i figli che non possono uscire dal carcere, assiste le donne, le rassicura, le fa sentire per qualche ora non criminali che hanno partorito in galera, ma madri come le altre, in ansia per foruncoli esantemi, rossori, alimentazione. “Nessuna cerca mai di scappare”, dice, “perché conosciamo tutti i trucchi e molte di loro sanno che là fuori, oltre il muro, la vita sarebbe molto peggiore per i loro bambini”. Ha solo un dubbio, Alyssa: che qualche donna incinta disperata si faccia arrestare e condannare per essere incarcerata qui, e dare ai propri figli ciò che il mondo dei liberi rifiuta di dare loro.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 22 luglio 2017 -

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