Sono Un Architetto di 30 anni alla continua ricerca di
un lavoro. Non dico mai di no. Appartengo a una generazione che, pr di non
stare sdraiata a letto, accetta uno stage a 500 euro al mese, per attivare il
quale bisogna girare tutti i Centri per l’Impiego dove ti rispondono come se ti
stessero facendo un favore. Ieri un dipendente di un ufficio comunale si è
lamentato con me al pensiero che avrà una pensione di 700 euro al mese. Non ho
risposto, ho solo guardato in basso pensando al mio commercialista che mi aveva
detto: “Se mai dovessi avere la pensione. Sarà sui 200/300 euro al mese”.
Quindi la prego, lei che può, continui a sostenerci e non cessi di sollevare il
problema.
Sofia Dionisio sofiadion@gmail.com
Dalle Lettere Che Ricevo vedo che ci sono persone che immaginano i giovani sdraiati
con le cuffie nelle orecchie o a dormire fino a mezzogiorno, quando i padri e
le madri hanno lasciato di buon’ora la casa per andare a lavorare. Altri
credono che vogliano solo divertirsi, ubriacandosi o drogandosi nel fine
settimana e vivendo di notte invece che di giorno. Penso che tutto ciò non sia
vero. Ma se anche lo fosse, leggerei questi comportamenti non come una ricerca
frenetica del piacere, ma come un tentativo di anestetizzarsi da un mondo che
non convoca i giovani, non li chiama per nome, non mostra interesse per loro,
non li considera, per cui si difendono dormendo, bevendo, drogandosi, vivendo
di notte per non assaporare di giorno la propria insignificanza sociale.
Insignificanza che durerà per molto tempo: anzi, io penso che, se la forma
attuale del capitalismo non cambierà direzione, sarà irreversibile per almeno
cento anni. La ragione è semplice: lo sviluppo tecnico e l’espansione globale
dell’informatica, a cui tra non molto si aggiungerà la robotica, non possono
che ridurre drasticamente le opportunità lavorative. Quindi: disoccupazione di
massa su larga scala. Queste previsioni erano già state fatte con estrema
lucidità da Herbert Marcuse negli anni ’50 quando, in Eros e civiltà (1955, Einaudi), scriviamo che il livello di
discreto benessere raggiunto in Occidente potrebbe giustificare l’ipotesi di
una civiltà che ha meno bisogno di lavorare, e più necessità di dedicarsi
all’erotica. Intesa non solo e non tanto in termini sessuali, ma come amore per
l’arte, la cultura, la natura e la vita, che, per chi oggi lavora, è per intero
sequestrata dal lavoro. Come sempre accade ai filosofi, nessuno lo ha ascoltato
e la sua profezia è stata liquidata tra i cascami della sinistra. Oggi a
riproporre in altra forma e in altri termini il problema è il sociologo
Domenico De Masi col suo libro Lavorare
gratis, lavorare tutti. Perché il futuro è dei disoccupati (Rizzoli). E in
effetti in Italia la disoccupazione giovanile è giunta al 40% e, stante quanto
dicevamo, non può che aumentare. De Masi fa notare che il lavoro, al di là
dello stipendio, dà dignità e crea socializzazione; valori che si perdono se
uno se ne sta a casa ad avvolgersi nella depressione. Lavorare gratis comporta
anche una rivisitazione dei privilegi sindacali, pensionistici, mutualistici di
cui gode chi ha incominciato a lavorare anni fa e ha incominciato a lavorare
anni fa e ha acquistato diritti cui i giovani non avranno accesso. E qui
veniamo ai “diritti acquisiti”, non dico di chi ha lavorato quarant’anni e ha
pagato i contributi, ma di chi gode di una pensione retributiva invece che
contributiva. Come i parlamentari e molti altri commis di Stato, che godranno
di una pensione che non corrisponde ai contributi da loro versati e che
attualmente è pagata dai giovani occupati che non hanno alcuna certezza di
ricevere a loro volta la propria. I “diritti acquisiti” sono fuori dalla
storia, perché sottintendono che la storia non cambi, mentre quel che era
possibile fare trenta o quarant’anni fa, quando sono maturati questi diritti,
oggi non si può più fare. E non capisco perché certi diritti debbano stare
fuori dalla storia quando questa ha cambiato volto al punto che non è in grado
di garantirli a chi, come i giovani, incomincia oggi a lavorare. E chi paga il
conto di questo mancato adeguamento, se non i giovani? Quanto a voi, giovani,
imparare l’inglese come l’italiano per aprirvi una porta all’estero, accettate
qualsiasi opportunità di lavoro, anche se non corrisponde ai vostri studi,
perché così almeno apprendere cose che non imparereste se restate fuori dal
mondo del lavoro. Infine organizzatevi per chiedere una semplificazione della
burocrazia che vi ostacola nelle vostre iniziative lavorative: non potete
pagare voi i costi derivanti da uno Stato che moltiplica le procedure
burocratiche perché non si fida dei suoi cittadini, in risposta ai cittadini
che non si fidano dello Stato. Fate sapere che voi non siete i cittadini di una
volta, da cui lo Stato si difendeva perché di loro non si fidava.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica -8 luglio
2017-
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