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domenica 30 luglio 2017

Lo Sapevate Che: Non bisogna rendere facii i divorzi, quanto difficilissimi i matrimoni...



L’Atto Di Sposarsi vorrebbe descrivere una volta per tutte e per sempre la relazione tra due persone. La realtà e l’esperienza inceneriscono ogni certificato. Due possono, agli occhi della burocrazia, risultare sposati da anni, ma ciò non toglie che abbiamo divorziato innumerevoli volte e che abbiano tradito e siano convolati a nozze con altri. La realtà del “matrimonio” appartiene a quei pochissimi che sono in grado di provare sentimenti profondi autentici, che segnano per sempre le tappe significative della vita e che hanno una moralità per concepire una relazione improntata anche al sacrificio, e non solo al guardarsi e ridere come due tredicenni. La o non c’è. poi è piuttosto risibile. Il partner a volte non esiste nemmeno quando è fisicamente presente. Figuriamoci quando non c’è, nel senso che la realtà è la persona che hai di fronte, qua e ora, e non qualcuno che è chissà dove. L’essere sposati non può porre limiti allo svilupparsi di altre relazioni, perché queste non sono una scelta, ma qualcosa che accade, punto e basta, come i terremoti. Il marito e la moglie non possono in nessun modo manipolare il rapporto che il coniuge ha con atri, perché non esiste non esiste libertà in generale e succede solo quello che deve succedere. Mi sembra che il matrimonio sia soltanto una cosa che si dice per semplicità linguistica e non una realtà. O forse sì, se intesa come la manfrina di un disturbo narcisistico personificato. Si può amare senza attaccamento. Anzi, si deve. Lo dobbiamo a tutti.   Giacomo   gzampicc@tiscali.it

Il Suo Sguardo pessimistico sul matrimonio risente di quella cultura individualista, tipica del nostro tempo, in base alla quale l’amore non ha altro fondamento che in se stesso, in vista dell’idea di felicità che ciascuno a suo modo immagina per sé. E questo senza alcun vincolo sociale dopo che le norme del diritto, le leggi dello Stato, i precetti della Chiesa si sono progressivamente ritirati dal controllo diretto dell’intimità. Non che prima le cose andassero meglio, se i che per i poveri l’amore rispondeva alla necessità di avere una donna che mettesse al mondo i bambini robusti, sapesse tenere stretti i cordoni della borsa e avesse cura di non fare andare a male il cibo, mentre per i ricchi l’amore era combinare matrimoni in modo da accrescere il proprio potere e il proprio patrimonio. Aver delegato l’amore da tutti questi vincoli è stato un grande passo avanti nell’esercizio della propria libertà. Se non che anche la libertà, nel frattempo, ha mutato volto. Non più assenza di vincoli nel compiere le proprie scelte, ma possibilità di revocare tutte le scelte, per cui si è fatta strada la tendenza ad accedere al matrimonio solo nella prospettiva della separazione o del divorzio. Quando l’amore si fonda su se stesso, e si esprime unicamente in vista dell’immagine che ciascuno si fa della propria felicità (vera o illusoria che sia), nasce quel tipo d’umo che conosce solo l’amore-passione. Si tratta di un amore promosso unicamente dalla cieca intensità del sentimento, a partire dal quale si fanno incaute promesse di assoluta ed eterna fedeltà, oppure, quando il sentimento non è accolto dall’altro, si dà avvio a una guerra che non conosce tregua, condotta con le armi acuminate dell’intimità. Guardando dal punto di vista dell’amore-passione, il matrimonio, per il solo fatto di presentarsi come una scelta irrevocabile, appare, come dice Tolstoj ne La sonata a Kreutzer, un inferno. Ma la passione, posto che sia davvero un’esperienza e non una faccenda letteraria che a poco a poco ha contaminato la psicologia, e poi la musica classica e leggera, e infine la pubblicità per sedurre gli acquirenti, è davvero l’unico modo in cui può declinarsi l’amore senza nessun’altra alternativa che non sia o la passione travolgente o la noia rassegnata? (..). E ancora: “La fedeltà è assurda almeno quanto la passione, ma dalla passione si distingue per un costante rifiuto di subire i suoi estri, per un costante bisogno di agre per l’essere amato, per una costante presa sul reale, che cerca di non fuggire ma di dominare”. Forse l’amore non è uno “stato” di esaltazione nella passione né di fedeltà nella noia del matrimonio, ma un “atto” che, invece di abbandonarsi in modo incondizionato al desiderio, attendendo miracolosamente dal suo soddisfacimento la felicità, sta alla parola data. Perché non si accontenta di una felicità passiva offerta dalla passione, ma vuole quella felicità attiva che prende avvio dalla costruzione di scenari d’amore, dove l’amore non lo si subisce, ma lo si crea. Solo se si è creatori si può accedere al matrimonio, altrimenti è meglio evitarlo.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 22 luglio 2017 -

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