Gli atei. Non so se è stata mai fatta un’indagine
nazionale o internazionale sul loro numero attuale, ma penso che non siano
molti. I semi-atei sono certamente molti di più. Ma non possono definirsi tali.
L’ateo è una persona che non crede in nessuna divinità, nessun creatore,
nessuna potenza spirituale. Dopo la morte, per l’ateo, non c’è che il nulla. Da
questo punto di vista sono assolutisti, in un certo senso si potrebbero
definire clericali perché la loro verità la proclamano assoluta. Anche quelli
che credono in una divinità (cioè l’esatto contrario degli atei) ritengono la
loro fede una verità assoluta ma sono infinitamente più cauti degli atei.
Naturalmente ogni religione cui appartengono è molto differente dalle altre, ma
su un punto convergono tutte: il loro Dio proclama una verità assoluta che
nessuno può mettere in discussione. Nel caso della nostra storia millenaria il
mondo è stato spesso insanguinato da guerre di religione. Quasi sempre dietro
il motivo religioso c’erano anche altri e più corposi interessi, politici,
economici e sociali, ma la motivazione religiosa era comunque la bandiera di
quelle guerre, che furono molto e insanguinarono tutto il mondo. Gli atei –
l’ho detto – non sanno di essere poco tolleranti, ma il loto atteggiamento nei
confronti delle società religiose è rigorosamente combattivo. La vera
motivazione, spesso inconsapevole, è ne fatto che il loro lo reclama odio e
guerre intellettuali contro religioni di qualsiasi specie. Il loro ateismo
proclamato vuole soddisfazione, perciò non lo predicano con elegante pacatezza
ma lo mettono in discussione partendo all’attacco contro chi crede che in un
qualunque aldilà, lo insultano, lo vilipendono, lo combattono
intellettualmente. È il loro Io che li guida e che pretende soddisfazione, vita
natural durante, non avendo alcuna speranzosa ipotesi di un aldilà dove la vita
proseguirebbe, sia pure in forme diverse. Con questo non voglio affatto dire
che l’ateo sia una persona da disprezzare, da isolare e tanto meno da punire.
Spesso i suoi modi sono provocatori, rissosi e calunniosi, ma questo non
giustifica reazioni dello stesso genere. Certo non ispirano simpatia, ma questa
è una reazione intellettuale di fronte alla prepotenza del loro Io. Infine c’è una terza posizione, anch’essa minoritaria come gli atei, ma profondamente
diversa: i non credenti. Non credono a una divinità trascendente, per quanto
riguarda l’aldilà suppongono l’esistenza di un Essere e qui si entra in
un’ipotesi affascinante che può assumere le forme più diverse. Per alcuni
‘Essere è la forma iniziale dell’Esistere, per altri è l’Esistere che dorme, in
perenne gestazione; per altri ancora è il caos primigenio, al quale l’energia
delle forme torna dopo la morte d’una forma qualsiasi e dal quale forme nuove
sorgono continuamente, con loro leggi e loro vitalità energetica. La vita e
l’aldilà, da questo punto di vista, sono in continuo avvicendamento del quale
noi umani ignoriamo i meccanismi creatici, ma che tuttavia sono in continua e
autonoma attività. L’Essere e i Divenire.
Ci furono nell’antica Ellade, due filosofi che in un certo senso sono i
predecessori di questo modo di pensare: Parmenide ed Eraclito. Non furono i
soli, ma certamente i più classici e più completi, ciascuno dal suo punto di
vista. Parmenide definì l’Essere come una realtà vitale ma stabile, non
modificabile, il letto della vita che l’Essere contiene ma che non assume
alcuna vitalità. Eraclito non ignora l’Essere, ma ipotizza che esso alimenti il
Divenire. Si potrebbe dire che la vita dorme nell’Essere e si sveglia nel
Divenire. Ammetto qui la mia incompleta informazione culturale: più o meno i due
filosofi appartengono alla stessa epoca e alla stessa terra, ma non credo che
le date delle loro vite coincidano e tanto meno se abbiano avuto conoscenza
l’uno dell’altro. Il più vicino al mio modo di sentire è Eraclito. I suoi
“detti” sono lucidi e splendidi così come ci sono stati tramandati. Parlo in
particolare di quello che dice: “Ciascuno può mettere una sola volta nella sua
vita i piedi nell’acqua del fiume”. Quella frase quando la lessi ed ero molto
giovane non la capii subito; ma poco dopo ne compresi il senso profondo:
l’acqua del fiume scorre e quindi varia di continuo; tu ci metti il piede e
quell’acqua non la ritrovi più perché scorre e cambia continuamente. L’acqua è
una forma dell’Essere, ma il suo scorrere è la forma del Divenire. Così è la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri bisogni, i nostri desideri e la carezza
della morte, che uccide una singola forma ma non la sua indistruttibile
energia. Questi sono, ciascuno a suo modo, i non credenti. Non credono in un
aldilà dominato da una divinità trascendente delle religioni e non credono al
nulla nichilista e prepotente degli atei, il cui Io è sostanzialmente
elementare; anche se è dotato di cultura e di voglia d’affermarsi. In realtà è
un Io che non pensa. Un Io che non pensa e non si vede operare e non si
giudica. Così è un Io di stampo animalesco. Mi spiace che gli atei ricordino lo
scimpanzé dal quale la nostra specie proviene.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 23 luglio
2017 -
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