Cogito, ergo sum, penso, dunque sono: così scrisse
Cartesio dicendo con tre parole una verità che naturalmente era già stata
condivisa dai presocratici e naturalmente da Socrate, Platone, Aristotele e in
tempo più recente Dante e Petrarca. A me capita spesso di pormi il problema che le tre parole di
Descartes-Cartesio hanno risolto come premessa e apertura alla mente di
svilupparla e cioè: io che cosa penso? Non penso mai la
stessa cosa, nessuno
pensa la stessa cosa, a meno che non sia del tutto rimbecillito. Non dipende
dall’età: ci sono vecchi con pensieri creativi che aumentano nella vecchiaia
mentre i pensieri dei giovani sono spesso sovrastati dalla crescita fisica e
dai desideri che essa alimenta. Questa fase raggiunge il culmine di solito tra
i 13 e i 16 anni, ma subito dopo la crescita dei desideri si affianca al
pensiero. Quella è l’adolescenza, la stagione fatata della vita. Personalmente
ebbi la fortuna di vivere l’adolescenza e la prima giovinezza con Italo Calvino
a Sanremo, dove tutti e due abitavamo. Quel periodo durò cinque anni dal 1938
al 1943. L’ho raccontato varie volte e non starò a ripetermi. Voglio però
ricordare l’ultimo lavoro di Italo. Che purtroppo morì precocemente. Morì di
ictus che lo colpì mentre era nella sua casa estiva vicino a Castiglione della
Pescaia e aveva appena messo la parola fine alle sue “Lezioni americane”, un
libro splendido che comincia con un capitolo dedicato alla leggerezza. E’ un
difetto la leggerezza? Quella descritta da Calvino è il pregio più grande della
nostra vita e la figura che meglio di tutti gli altri la rappresenta è il poeta
duecentesca Guido Cavalcanti, cui Dante dedicò il sonetto citando il quale ho
concluso domenica scorsa il mio articolo su Repubblica a: “Guido, i’ vorrei /
che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento” dove Guido cui Dante si
rivolge è appunto il Cavalcanti. Pensavamo molte altre cose quando la sera estiva, il cielo di luglio
e il mare alimentavano i nostri discorsi che toccavano molti e diversissimi
argomenti. Parlavamo delle ragazze che più ci piacevano, ma poi della fisica
teorica di Einstein e di Eddington e poi di Rabelais e dei suoi personaggi
Gargantua e suo figlio Pantagruel, del Don Chiscotte di Cervantes, dell’Amleto
di Shakespeare e del suo Enrico V d’Inghilterra che sconfisse i francesi nella
battaglia di Azincourt, ma passò l’intera notte che precedette la vittoria
pensando a quale fosse l’interesse generale del suo popolo da tutelare: se la
vittoria politica delle armi o i poveri da aiutare, i malati da curare, le
donne da rispettare e da amare con casta fedeltà. Ma poi pensò ai morti e ai
feriti della battaglia che stava per scatenarsi perché la notte cominciava ad
albeggiare e i soldati cominciavano ad affilare le spade e a coprirsi con le
corazze. Enrico pianse prima di fare altrettanto. Queste cose ci
raccontavamo Italo
ed io e un’altra decina di amici che studiavano con noi e con noi pensavano
partecipando ai più vari discorsi che ci venivano in mente. I Pensieri, ecco
che cosa sono i pensieri: ricordi, racconti, significati, giudizi oggettivi e
soggettivi e anche sentimenti perché i pensieri nascono dai sentimenti e altri
ne generano nell’animo. Mi sono più volte chiesto: ma i sentimenti quali sono e
quanti sono? Hanno un numero o sono illimitati? Io credo che un numero ce
l’abbiano oggettivamente, ma soggettivamente sono vissuti da ciascuno a suo
modo: con intensità diverse, con diverse mescolanze tra l’uno e l’altro, amore,
odio, nostalgia melanconia, ambizione, superbia, potere. Questi più o meno sono
i sentimenti. Questa, in realtà, è la vita.
Eugenio Scalfari – Il Vetro Soffiato – L’Espresso – 9 luglio
2017 -
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