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mercoledì 19 luglio 2017

Lo Sapevate Che: L'Operaio che non vuole diventare un pink collar...



Ecco Un Neologismo da aggiungere al nostro repertorio: pink collar. Colletti rosa. Se i colletti blu indicano gli operai e i colletti bianchi gli impiegati, il rosa sapete cosa segnala: lavori che tradizionalmente vengono svolti dalle donne. Sono quelli che crescono di più, almeno qui in America. E questo è un grosso problema. In parte si può ricondurre a questa tendenza anche la vittoria di Donald Trump. Il problema, non facilmente risolvibile, è questo: la classe operai, espulsa dalle sue attività tradizionali, non ce la fa proprio a riconvertirsi in colletti rosa. Questione di attitudine e addestramento, di status e perfino di qualcosa di più profondo: accettare questi lavori significa rinunciare a un’idea di virilità, a un pezzo portante dell’identità maschile. Tra l’altro non sono gli operai o ex-operai ad avere questo tipo di resistenza. Anche le loro mogli la pensano così- Secoli di separazione dei ruoli non si cancellano d’un tratto. C’è pure un aspetto economico, non il più importante ma nemmeno irrilevante: i colletti rosa guadagnano molto meno.  Di questo tema si è occupata una sociologa che conosce bene l’ambiente operaio, anche perché ne ha sposato uno. Si chiama Joan Williams e ha scritto un libro intitolato White Working Class in cui affronta senza pregiudizi il tema lavoro-virilità. Ci sono mestieri che hanno un’immagine macho, chi li fa si sente realizzato e confermato nell’identità, nel ruolo di padre e madre. Hanno a che fare, almeno in parte, con la forza fisica o con la capacità di costruire cose. Muratore o metalmeccanico, camionista o allevatore. Tradizionalmente erano anche ben remunerati; non di rado grazie a una forte sindacalizzazione. Ma le fabbriche chiudono, l’industria licenzia, gli operai sono sempre meno richiesti. Cresce invece la domanda di infermiere, maestre d’asilo, cassieri di supermercato, donne delle pulizie. Ho declinato queste figure al femminile. Perché a fare questi mestieri sono state più spesso le donne. Ma se c’è richiesta, perché gli uomini non si adattano? Di recente ne ha scritto anche Susan Chira, una giornalista del New York Times: “Le nozioni di mascolinità stentano a morire, tra le donne e anche fra gli uomini . Non c’è solo il fatto che gli uomini considerano alcuni di questi mestieri degradanti; oppure pensano di non avere l’attitudine emotiva a svolgerli. Le loro mogli, i datori di lavoro, e le donne che svolgono quei mestieri la pensano allo stesso modo”. Il dramma della classe operaia americana è tremendo. Circa venti milioni di maschi fra i 20 e i 65 anni non hanno un lavoro. Sette milioni fra di loro hanno smesso del tutto di cercarsi un’occupazione, scoraggiati. Alcuni si rifugiano in forme di assistenzialismo che avremmo definito “all’italiana”, come le pensioni d’invalidità. Altri si drogano. Molti hanno votato Trump, dando il contributo decisivo alla sua vittoria. Davvero sperano che questo presidente possa resuscitare l’industria americana, restituire i lavori di una volta, virili e anche (relativamente) ben pagati? Gli economisti li trattano come dei poveri illusi. Le élite intellettuali considerano come un atteggiamento retrogrado l’attaccamento a mestieri macho. Però c’è qualcosa di profondamente disonesto dietro il disprezzo delle élite. Nelle professioni “nobili”, quelle di chi ha votato prevalentemente a sinistra, esiste una divisione di ruoli in base al sesso, eccome se esiste. Gli uomini dei ceti medioalti si muovono in attività – come manager d’azienda o avvocati, esperti di tecnologia o di finanza – dove rimane il predominio maschile. Non mollano il loro status per andare ad accudire bambini o ad assistere malati e anziani.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 8 luglio 2017 -

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