Ecco Un Neologismo da aggiungere al nostro repertorio: pink collar. Colletti rosa. Se i
colletti blu indicano gli operai e i colletti bianchi gli impiegati, il rosa
sapete cosa segnala: lavori che tradizionalmente vengono svolti dalle donne.
Sono quelli che crescono di più, almeno qui in America. E questo è un grosso
problema. In parte si può ricondurre a questa tendenza anche la vittoria di
Donald Trump. Il problema, non facilmente risolvibile, è questo: la classe
operai, espulsa dalle sue attività tradizionali, non ce la fa proprio a
riconvertirsi in colletti rosa. Questione di attitudine e addestramento, di
status e perfino di qualcosa di più profondo: accettare questi lavori significa
rinunciare a un’idea di virilità, a un pezzo portante dell’identità maschile.
Tra l’altro non sono gli operai o ex-operai ad avere questo tipo di resistenza.
Anche le loro mogli la pensano così- Secoli di separazione dei ruoli non si
cancellano d’un tratto. C’è pure un aspetto economico, non il più importante ma
nemmeno irrilevante: i colletti rosa guadagnano molto meno. Di questo tema si è occupata una sociologa
che conosce bene l’ambiente operaio, anche perché ne ha sposato uno. Si chiama
Joan Williams e ha scritto un libro intitolato White Working Class in cui affronta senza pregiudizi il tema
lavoro-virilità. Ci sono mestieri che hanno un’immagine macho, chi li fa si
sente realizzato e confermato nell’identità, nel ruolo di padre e madre. Hanno
a che fare, almeno in parte, con la forza fisica o con la capacità di costruire
cose. Muratore o metalmeccanico, camionista o allevatore. Tradizionalmente
erano anche ben remunerati; non di rado grazie a una forte sindacalizzazione.
Ma le fabbriche chiudono, l’industria licenzia, gli operai sono sempre meno
richiesti. Cresce invece la domanda di infermiere, maestre d’asilo, cassieri di
supermercato, donne delle pulizie. Ho declinato queste figure al femminile.
Perché a fare questi mestieri sono state più spesso le donne. Ma se c’è
richiesta, perché gli uomini non si adattano? Di recente ne ha scritto anche
Susan Chira, una giornalista del New York
Times: “Le nozioni di mascolinità stentano a morire, tra le donne e anche
fra gli uomini . Non c’è solo il fatto che gli uomini considerano alcuni di
questi mestieri degradanti; oppure pensano di non avere l’attitudine emotiva a
svolgerli. Le loro mogli, i datori di lavoro, e le donne che svolgono quei
mestieri la pensano allo stesso modo”. Il dramma della classe operaia americana
è tremendo. Circa venti milioni di maschi fra i 20 e i 65 anni non hanno un
lavoro. Sette milioni fra di loro hanno smesso del tutto di cercarsi
un’occupazione, scoraggiati. Alcuni si rifugiano in forme di assistenzialismo
che avremmo definito “all’italiana”, come le pensioni d’invalidità. Altri si
drogano. Molti hanno votato Trump, dando il contributo decisivo alla sua
vittoria. Davvero sperano che questo presidente possa resuscitare l’industria
americana, restituire i lavori di una volta, virili e anche (relativamente) ben
pagati? Gli economisti li trattano come dei poveri illusi. Le élite
intellettuali considerano come un atteggiamento retrogrado l’attaccamento a
mestieri macho. Però c’è qualcosa di profondamente disonesto dietro il
disprezzo delle élite. Nelle professioni “nobili”, quelle di chi ha votato
prevalentemente a sinistra, esiste una divisione di ruoli in base al sesso,
eccome se esiste. Gli uomini dei ceti medioalti si muovono in attività – come
manager d’azienda o avvocati, esperti di tecnologia o di finanza – dove rimane
il predominio maschile. Non mollano il loro status per andare ad accudire
bambini o ad assistere malati e anziani.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 8
luglio 2017 -
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