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domenica 23 luglio 2017

Lo Sapevate Che: Salvare e perdonare non è affare di Stato...



Era una sera come tante del novembre 1989 a Santa Ana in California, per Michael Buelna, agente della polizia in pattuglia. Michael teneva d’occhio specialmente un vicolo cieco e buio dove spacciatori, clochard e predatori di vittime facili spesso si aggiravano tra i cassoni di metallo della spazzatura, ma un suono come quello che sentì la sera del 20 novembre 1989 era una novità. Era un flebilissimo lamento, come di un animale molto ferito o di un umano molto piccolo, e quando l’agente Buelna si fece strada fra i cassoni scoprì la sorgente del suono: un neonato avvolto nella carta di giornale, tanto per smentire quelli che dicono che i giornali non servono e niente. Il neonato parve a lui – ed era – stremato. Buelna, aspettando l’ambulanza chiamata via radio, gli soffiò in bocca, tenendolo in vita. Quando i paramedici arrivarono e videro la scena, uno di loro disse: “Nel rapporto, chiameremo questo bambino Adam”, come il primo uomo della Bibbia. L’agente Buelna andò in pensione dopo venticinque anni di carriera nella polizia di Santa Ana. Un pensiero non l’aveva mai abbandonato: ritrovare quel neonato al qual aveva ridato la vita. Con la tecnica e le relazioni accumulate in un quarto di secolo, ripercorse tutto il cammino di Adam, dal vicolo all’ospedale, dall’ospedale all’orfanotrofio pubblico, dall’orfanotrofio all’adozione. Scoprì l’identità della coppia che lo aveva adottato, nonostante fosse teoricamente segreta, la patente di guida, la residenza, e un giorno del maggio scorso suonò alla porta di una piccola casa. Gli aprì un giovane di 28 anni, bruno, robusto, bello e gli disse: “Sono il piedipiatti che ti ha salvato la vita. Ora finalmente so che quella sera ho fatto un buon lavoro”. Adam lo abbracciò. “Erano anni che ti cercavo. Tu sei il padre che non ho mai conosciuto”. Un padre biologico Adam l’aveva, e insieme al vecchio cop, il piedipiatti in pensione, riuscì a scovarlo e incontrarlo. Ci furono riunioni, fra lui, i suoi mezzi fratelli e sorelle che il padre naturale aveva avuto dalla moglie (ben sei), incontri senza rancore o rimproveri, intrisi della confusa e fatalistica nebbia della vita. Ma nel mosaico del poliziotto e del bebè al quale aveva soffiato la vita, del padre, dei fratelli e delle sorelle, mancava una tessera fondamentale: la madre, la donna che aveva gettato via Adam avvolto in un cartoccio di giornali. Lui e Buelna si misero sulla pista di questa povera donna senza nome, e dopo settimane di ricerca la trovarono. Si chiamava Sabrina Fabiola Diaz e quando partorì Adam aveva diciannove anni. “Vorrei incontrarla, conoscerla, abbracciarla, dirle che non le rimprovero niente e l’ho perdonata, per fare la pace con lei e con me stesso”, spiegava Adam al poliziotto. E finalmente spuntò un indirizzo. Sabrina aveva causato un incidente stradale con un ferito lieve ed era stata arrestata. Adam e Michael si presentarono all’indirizzo con un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini. Aprì la porta ua ragazza, diffidente: “Abita qui Sabrina Fabiola Diaz?”. “Abitava”, rispose lei. “E’ morta?”. “No, non credo”. “Come, non crede?”. “Non lo s. Un mese fa, dopo l’arresto, spiegò la giovane donna, anche lei mezza sorella di Adam, “la Migra (gli agenti dell’immigrazione) è venuta a prenderla”. A causa dell’arresto, le autorità dell’Immigrazione avevano scoperto che Sabrina Fabiola Diaz era un “illegale” e l’avevano deportata oltre la frontiera messicana, “Ora sa dove sia?”, insistette Adam. “No, non l’ho più sentita”, rispose la ragazza. “Ma io voglio dirle che la capisco, farla vivere senza sensi di colpa, dirle che l’ho perdonata”, continuò lui. “Mi dispiace, Sabrina non potrà mai più tornare”, chiuse la porta la ragazza. I figli possono perdonare. Lo Stato, mai.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 15 luglio 2017 - 

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