Un’ occhiata alla bacheca di Facebook,
una alle timeline di Twitter, e ci si dice: la stupidità degli altri deve
essere davvero lo spettacolo più affascinante del mondo- C’è chi pensa che i
social network producano propri
contenuti, e se ne potrebbe discutere; ma intanto possiamo tenere per certo (è
infatti vero per definizione) che li
registrano, così documentando tendenze altrimenti volatili. Prima lo studio
delle mitologie sociali era fatalmente basato su fondi di seconda mano e sul
sentito dire delle chiacchiere al bar e delle opinioni dei tassisti. Intuizione,
penetrazione e sintesi mettevano poi in risalto, sullo sfondo grigio del senso
comune, i commenti del Flaiano e dei Barthes. Oggi su Facebook e Twitter chiunque
può invece verificare, e con grande margine di probabilità induttiva, che molto
spesso chi prende la parola lo fa per additare, smascherare, irridere,
disprezzare, censurare, condannare, possibilmente immolare, auspicabilmente
incenerire, moralmente scomunicare, indignatamente ostracizzare. Cosa? La stupidità
di qualcun altro. Dalla stupidità altrui non ci distraiamo mai, come se la
nostra intelligenza non possa essere altro che censoria e come se, abbassando
il nostro dito monitore, ammettessimo la nostra stupidità arrendendoci
all’altrui. Gli obiettivi possono essere rivali professionali, in politica, nel
tifo sportivo, in amore o in tutti e quattro i campi, vip remoti o invece
presenti sul social network; persone vestite male, che non scrivono bene
l’italiano o che parlano male l’inglese, persone a cui piacciono cose ritenute
poco o troppo chic, fan di cantanti avversi; gente frivola, gente che lo è
troppo poco. Ognuno, in rete, può trovare il proprio stupido elettivo; ma
ognuno è anche lo stupido elettivo di qualcun altro. Chi ha ragione, allora? E,
soprattutto, come distinguere lo stupido dal non-stupido? Vederci chiaro è
diventato difficile, da quando non ci sono più “i bei cretini di una volta” già
rimpianti da Leonardo Sciascia. E non ci sono più non perché siano passati
dall’umiltà dello scemo del villaggio all’arroganza del capotribù, ma perché
hanno studiato, hanno imparato a stare in società, sono tra noi e (fin troppo
spesso) sono in noi. I cretini di oggi sono intelligenti, così intelligenti da
vedere cretini dappertutto. Quando Fruttero e Lucentini dicono che per il
cretino, il cretino è sempre “un altro” la formula coinvolge anche loro,
fatalmente; essi, tutt’altro che cretini, lo sanno. Ma allora nella “prevalenza
del cretino” del loro famosissimo titolo, il cretino prevale su di me o dentro
di me? Approfondendo la questione si arriva a pensare che forse la prevalenza
“è” del cretino: essere stupidi consiste nel pensare che si possa realmente, e
non stupidamente, prevalere. Per uscire da questo gorgo occorre attraversarlo:
“Bisogna sentirsi stupidi, per esserlo di meno” diceva proprio Roland Barthes.
Ed è il massimo studioso italiano di Barthes che ci aiuta a rifare i conti con
la stupidità: si tratta del semiologo Gianfranco Marrone(..). L’antico scemo
del villaggio di chance, il giardiniere e interpretato da Peter Sellers in
Oltre il giardino, che prende tutto alla lettera e corrisponde allo “stupido
solare” di Robert Musil. I politici che lo ascoltano e scambiano le sue ovvietà
agresti per massime di profonda saggezza (arriveranno a candidarlo alla
presidenza Usa), sono gli stupidi intelligenti, quelli che per Musil vedono
sogni e indizi dappertutto. Di fatto trovare la stupidità “in purezza “è ormai
impossibile. Lo studio postmodern non è più chi non conosce la regola e non sa
comportarsi (come il Giufà del folklore siciliano), né chi nin conosce che la
regola e non l’adegua alla realtà (come per esempio don Ferrante). Con la sua
goffaggine ma anche con il suo entusiasmo nel partecipare a ogni rito sociale,
cioè con la sua ansia di “affluire”, il rag. Ugo Fantozzi svela che l’unica
stupidità peggiore di quella di non saper stare alle regole è quella di chi ci
si sa stare, o anzi di chi le regole le detta. Il silenzio atterrito che
accompagna le sue imprese più dissennate deriva dal fiato tenuto sospeso dagli
astanti: ogni volta può essere quella in cui il teatro sociale viene giù del
tutto, grazie al Big One delle Craniate Pazzesche. Nell’epoca in cui invitanti
campagne pubblicitarie esclamano “Be Stupid!, Marrone aggiunge alla sua
rassegna uno stupido di genere completamente diverso da quelli tradizionali e
moderni: il computer. Il teorico della naufragata Intelligenza Artificiale
Marvin Minsky notava che al computer abbiamo saputo fornire competenze
sofisticate (come la maestria negli scacchi), ma non abilità che sono alla
portata di un ragazzino, come tirare a indovinare, raccontare una storia,
interloquire in una normale conversazione, tradurre un testo banale. Il che
significa che l’intelligenza e la creatività umana non pertengono alla sola
sfera cognitiva indipendente da quella emotiva e viceversa. (..). Sia il cuore
sia la mente hanno insomma i loro tormentoni: siamo stupidi quando li ripetiamo
senza filtri critici, come flaubertiane idee ricevute e subito ritrasmesse. Il
Flaubert della Rete ha un nome poco profumato, si chiama “Vendommerda”:
raccoglie e rilancia i Tweet più stolidi che si possano concepire, senza raggiungere
un commento. È più neutro di Blob. Diverte, ma certo non vaccina, né
probabilmente intende farlo. Persino Flaubert faceva un torto alla sua stessa
intelligenza, quando si illudeva di indurre i suoi lettori al silenzio per non
correre il rischio di dire stupidaggini. Non era stato proprio lui a stabilire
che la stupidità consiste “nel voler concludere”? Non si finisce mai di cercare
di non essere stupidi, almeno non del tutto. Ripetiamo, pensando di essere
originali, i tormentoni di pubblicità, propaganda politica, informazione,
comicità, medialità. Oggi funzionano quelli di Beppe Grillo, ma anche questi,
che apparentemente demistificano, non sono tormentoni meno di altri: la
stupidità è entrata nell’epoca in cui è stupida anche la sua demistificazione.
Forse siamo alle soglie dell’antiutopia tratteggiata da Marrone: “In un mondo
in cui ci sono solo stupidi, lo stupido non esisterà più poiché nessuno potrà
“. Vuole dire che, come bisogna sentirsi stupidi per esserlo di meno, così per
abrogare la stupidità occorre che regni.
Stefano Bertezzaghi – Cultura – La Repubblica – 1 novembre
2012
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