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domenica 2 luglio 2017

Lo Sapevate Che: Quando si inceppa il sentimento dell'orrore...



Se questo è un uomo. Un venerdì pomeriggio ho sentito su di me il freddo marmoreo sprigionato dalla più totale indifferenza umana nei confronti di chi, io e mio marito, raggiunti da una telefonata in un ipermercato che ci avvisava che il nostro amato, dorato, fidato cane ci aveva lasciato. A causa dell’anestesia che doveva servire a placare il suo cervello troppo sollecitato dalle frequenti crisi epilettiche, questa volta non si è risvegliato. Sono caduta in ginocchio, urlando, piangendo, chiamando per nome il nostro cane. Mio marito, disperato come me, cercava di darmi forza abbracciandomi. Siamo rimasti a lungo in questa condizione di assoluta sofferenza, vicinissimi a noi gli altri uomini, che non soffrivano, continuavano imperturbabili a scegliere la frutta, incuranti di noi, del nostro dolore. Intorno a noi: nulla.  Mafalda Albanelli  mafaldalbanelli@yahoo.it

Mi Scusi, Ma Non Le Pare sproporzionata la sua reazione all’annuncio che il suo cane era morto? E non le pare fuori misura se non addirittura offensivo, utilizzare il titolo di un libro di Primo Levi: Se questo è un uomo, equiparando in tal modo l’indifferenza degli acquirenti del supermercato, che non hanno raccolto e consolato il suo dolore per la morte del cane, con le atrocità e le morti che avvenivano nei campi di concentramento con un degrado dell’umano aldilà di ogni immaginazione? Esiste nei suoi vissuti una gerarchia dei sentimenti? Sa qualcosa dei morti innocenti in Siria, in Iraq, in Afghanistan, dei milioni di morti in Africa a causa di pulizie etniche e di massacri indiscriminati? Ha mai rivolto un pensiero a chi lascia la sua terra e, rischiando la vita che nella sua terra sarebbe già perduta, viene da noi con quell’unica forza che gli detta la disperazione? Oppure ha imparato anche lei a chiamare le guerre “missioni di pace”, i massacri “danni collaterali”, le torture “pressioni fisiche”, le pulizie etniche “trasferimento di popolazione”, per cui addolcendo la realtà con questi eufemismi, da piangere resta solo la morte del cane? E per restare da soli, non la commuove la condizione attuale dei giovani che, a differenza dei loro genitori, non hanno davanti un futuro che li attragga e li motivi: o la condizione di molti giovani donne uccise dagli amanti da cui si sono congedate; la condizione dei senzatetto che mangiano alla mensa dei poveri e dormono sotto i portici; le condizioni di vita, queste sì disumane, a cui sottostanno per 15 o 20 euro a giorno quegli immigrati che raccolgono frutta e pomodori che noi acquistiamo nei supermercati senza, non dico svenire, ma neppure dedicare a loro un pensiero? L’impressione che la sua lettera mi suscita approda a questa domanda: ma lei che rapporto ha con la realtà? Come la percepisce? Come la gran parte di noi o in una modalità così distante da trovarsi a sua insaputa del tutto isolata del tutto isolata, non per colpa degli altri, ma perché ciò per cui si commuove è per gli altri del tutto sproporzionato e quindi incomprensibile. Non tutti vediamo la realtà allo stesso modo, problema percettivo o è in malafede. Le spiego tutto con una storia. Stanley Cohen, professore di sociologia a Londra, quando aveva 12 anni viveva a Johannesburg, in Sudafrica. Una notte d’inverno, mentre se ne stava al caldo nel suo letto, vide dalla finestra che un nero adulto, al seguito della sua famiglia trasferitasi per il lavoro del padre, era fuori all’aperto, con il bavero del cappotto rialzato, strofinandosi le mani per il freddo. L’indomani Stanley chiese alla madre la ragione per cui quell’uomo nero dormiva fuori al freddo. La risposta della madre fu: “Bambino mio, sei troppo sensibile”. La cosa finì lì. Ma qualche anno dopo il ricordo riemerse, e Stanley, ormai studente di Sociologia a Oxford, incominciò a chiedersi: “I miei genitori vedevano quello che io vedevo o vivevano in un altro universo percettivo, dove spesso gli orrori dell’apartheid erano invisibile e la presenza fisica della gente di colore sfuggiva alla loro consapevolezza? Oppure vedevano esattamente ciò che vedevo io, ma semplicemente non gliene importava nulla o non ci trovavano niente di sbagliato? Quando la percezione della realtà è così distorta, non c’è più speranza di sanare qualcosa dei mali del mondo, perché se il nostro sentimento non è all’altezza di quanto sta accadendo intorno a noi, che cosa può impedire la ripetizione di quelle terribili cose a cui sopra abbiamo accennato? A questo punto può usare una ripetizione di Heidegger: “Il terribile è già accaduto”, perché quando s’inceppa il nostro sentimento dell’orrore, della partecipazione e della compassione che non va oltre ciò che ci è vicino o che ci riguarda, a quel punto si perde anche il sentimento della responsabilità per tutto ciò che non rientra nella cerchia ristretta delle nostre intime cose.
umbertogalimberti@repubblica.it  - Donna di La Repubblica – 24 giugno 2017 -

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