C’è Un Problema che
riguarda le nuove generazioni, i cosiddetti nativi digitali: l’utilizzo 24 ore
su 24 degli smartphone. Il cellulare dorme con loro, come un bambolotto o un
peluche, si alza con loro, fa colazione con loro, va a scuola con loro, torna a
casa con loro, pranza con loro, studia con loro, cena con loro, guarda la
televisione con loro e infine ritorna a letto con loro. Mi chiedo quali possano
essere i risvolti a livello fisico-cerebrale, quali a livello psicologico.
Forse anche gli amici in carne e ossa sono superati dal compagno di giochi e di
svago cellulare. Insomma i tempi cambiano, ogni generazione ha avuto un
compagno fidato e affezionato: chi un amico, chi la radio, chi il motorino, chi
la televisione. Penso però che mai nessuno o niente sia stato così totalizzante
come questo. Daniela Monaco danipdmonaco@gmail.com
Quello Che Lei mi chiede è qualcosa a cui non so
rispondere, perché è passato ancora troppo poco tempo per vedere che
trasformazione antropologica può determinare questo fenomeno planetario che è
la Rete. Posso solo segnalarle alcune preoccupazioni espresse da chi conosce
bene questo mondo. Come Clifford Stoll, uno dei pionieri di Internet che, dopo
averlo portato in trent’anni al livello che oggi conosciamo, scrive in Confessioni di un eretico high-tech
(Garzanti):
“Quali problemi possono crearsi se dedichiamo sempre più tempo a strumenti elettronici? A scuola per esempio, grazie all’elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione dei problemi diventa la pressione sui tasti. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Gli studenti pigiano sui tasti, guardano i risultati e accettano ciò che la macchina dice loro”. Nella Postfazione al libro di Stoll, il linguista Raffaele Simone mette in guardia dai processi di “de-realizzazione” generati dall’uso incontrollato del computer, e in proposito scrive che: “Possiamo non accorgerci che la diffusione della conoscenza mediata dall’informatica è la più formidabile barriera che si sia mai presentata nella storia verso il contatto con la realtà. Con un software opportuno posso visitare Roma sotto l’oceano senza bagnarmi e perfino fingere un gioco violento senza neppure graffiarmi. E’ reale questo?”. (..) Lo psicologo Giorgio Nandone, che ha lavorato con Pau Watzlawich della scuola di Palo Alto, ha scritto con Federica Cagnoni Perversioni in rete. Le psicopatologie da Internet e il loro trattamento (Ponte delle Grazie), dove mette a fuoco i tratti di dipendenza dalla Rete, non dissimili dai tratti tipici della tossicodipendenza (“tolleranza” che comporta la necessità di aumentare gradatamente le dosi, “crisi di astinenza”, e “smania” che comportano il bisogno irresistibile di connettersi). La dipendenza da Internet soddisfa sul piano virtuale il bisogno di controllo che non si riesce a realizzare sul piano di realtà; alimenta il tratto ossessivo-compulsivo, come nel caso dello shopping online che consente di entrare in qualsiasi centro commerciale del mondo, soddisfacendo il vissuto infantile di onnipotenza e libertà che compensano le frustrazioni del mondo reale. Chattando, si ha la possibilità di realizzare virtualmente ciò che si vorrebbe ma non si riesce a essere. Da qui il bisogno di stare ore davanti al computer che, a nostro piacimento, realizza il sogno della nostra identità agognata. Se a questo si aggiunge il cybersesso, dove la solitudine della masturbazione viene compensata da una rappresentazione condivisa, e la possibilità di esprimere nell’anonimato tutte le fantasie vissute nel privato, ecco che il computer diventa l’oggetto erotico per eccellenza, dove come davanti a una macchina magica, si esaltano le perversioni e le allucinazioni del desiderio, a scapito dei rapporti reali, che, al confronto, appaiono insignificanti. Con questo non ho risposto alla sua preoccupazione. Chi verrà dopo di noi dirà come è cambiato l’uomo. Oppure non lo dirà, perché non saprà nulla di come l’uomo era prima dell’informatica, nel caso in cui questa ne abbia cambiato la natura.
“Quali problemi possono crearsi se dedichiamo sempre più tempo a strumenti elettronici? A scuola per esempio, grazie all’elettronica digitale, gli studenti sfornano risposte senza elaborare concetti: la soluzione dei problemi diventa la pressione sui tasti. Le calcolatrici sfornano risposte senza richiedere il minimo pensiero. Gli studenti pigiano sui tasti, guardano i risultati e accettano ciò che la macchina dice loro”. Nella Postfazione al libro di Stoll, il linguista Raffaele Simone mette in guardia dai processi di “de-realizzazione” generati dall’uso incontrollato del computer, e in proposito scrive che: “Possiamo non accorgerci che la diffusione della conoscenza mediata dall’informatica è la più formidabile barriera che si sia mai presentata nella storia verso il contatto con la realtà. Con un software opportuno posso visitare Roma sotto l’oceano senza bagnarmi e perfino fingere un gioco violento senza neppure graffiarmi. E’ reale questo?”. (..) Lo psicologo Giorgio Nandone, che ha lavorato con Pau Watzlawich della scuola di Palo Alto, ha scritto con Federica Cagnoni Perversioni in rete. Le psicopatologie da Internet e il loro trattamento (Ponte delle Grazie), dove mette a fuoco i tratti di dipendenza dalla Rete, non dissimili dai tratti tipici della tossicodipendenza (“tolleranza” che comporta la necessità di aumentare gradatamente le dosi, “crisi di astinenza”, e “smania” che comportano il bisogno irresistibile di connettersi). La dipendenza da Internet soddisfa sul piano virtuale il bisogno di controllo che non si riesce a realizzare sul piano di realtà; alimenta il tratto ossessivo-compulsivo, come nel caso dello shopping online che consente di entrare in qualsiasi centro commerciale del mondo, soddisfacendo il vissuto infantile di onnipotenza e libertà che compensano le frustrazioni del mondo reale. Chattando, si ha la possibilità di realizzare virtualmente ciò che si vorrebbe ma non si riesce a essere. Da qui il bisogno di stare ore davanti al computer che, a nostro piacimento, realizza il sogno della nostra identità agognata. Se a questo si aggiunge il cybersesso, dove la solitudine della masturbazione viene compensata da una rappresentazione condivisa, e la possibilità di esprimere nell’anonimato tutte le fantasie vissute nel privato, ecco che il computer diventa l’oggetto erotico per eccellenza, dove come davanti a una macchina magica, si esaltano le perversioni e le allucinazioni del desiderio, a scapito dei rapporti reali, che, al confronto, appaiono insignificanti. Con questo non ho risposto alla sua preoccupazione. Chi verrà dopo di noi dirà come è cambiato l’uomo. Oppure non lo dirà, perché non saprà nulla di come l’uomo era prima dell’informatica, nel caso in cui questa ne abbia cambiato la natura.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 15 luglio
2017 -
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