Anche se pochi conoscono il suo nome,
Fritz Kahn è nelle nostre coscienze e nel nostro subconscio collettivo”. Così
scrive Steven Heller, tra i suoi autorevoli critici internazionali di
comunicazione visiva, nell’introduzione al volume Fritz Kahn. Infographics Pioneer, bellissima monografia trilingue
della Taschen (..) dedicata al pioniere dell’infografica, l’arte di
rappresentare fenomeni complessi in forma grafica. Kahn ne ha illustrati di
ogni tipo, dal sistema cardiocircolatorio al ruolo degli elettroni nella fisica
del colore. Qualcuno ricorderà Siamo
fatti così, la serie di cartoni animati creati da Albert Barillé che ha
raccontato il corpo umano come una città gestita da tanti omini, ciascuna con
la propria funzione fisiologica. È una chiave narrativa che non sarebbe stata medico,
artista e autore e pensabile senza Fritz Kahn. Medico, artista e autore di
pregevoli testi di divulgazione scientifica, ebreo tedesco scampato
all’olocausto (prima la fuga in Palestina, poi a Parigi e infine a New York con
l’aiuto di Albert Einstein), celebrato in vita ma dimenticato dopo la morte
(1968), il suo lavoro è stato di fatto introiettato così in profondità dalla
nostra cultura visuale da essere un riferimento (più o meno cosciente) per
qualsiasi forma d’arte che enti di esprimere visivamente un’idea. La Taschen ripropone
un’edizione rivista di una raccolta di 350 immagini, che indaga la zona di confine
tra arte e scienza, mischiando surrealismo e dadaismo, fotocollage e f,
l’umetto, microbiologia e storia naturale: i curatori, i fratelli Uta e Thilo
von Debschitz, l’hanno concepita come un libro da tavolo per portare Kahn nei
salotti del grande pubblico. La sua tavola più celebre, L’uomo come macchina, raffigura la testa e il busto umani come uno
stabilimento industriale le cui parti comunicano tra loro grazie a minuscoli
operai umanoidi, ognuno con la propria specializzazione. È un motivo ricorrente
nell’opera di Kahn: le funzioni biologiche immaginate come funzioni meccaniche.
O, viceversa, la tecnologia raffigurata come imitazione della natura. Per cui
troviamo, messe a confronto, la sezione di un nervo con quella di un cavo
elettrico, la forma aerodinamica del razzo con quella dello spermatozoo.
Abbondano le metafore architettoniche. Non a caso, Kahn fu amatissimo dal
Bauhaus. E frequentò l’Università di Berlino proprio negli anni in cui sembrava
che le avanguardie artistiche e architettoniche dovessero trasferirsi in massa
da Parigi alla capitale tedesca. La forza delle infografiche di Kahn, tuttavia,
non sta solo nella potenza estetica, ma in ciò che lo scrittore (e medico) Alfred
Döblin ha definito “una comprensione empatica” del sapere scientifico. Tra le
sue intuizioni più preziose, quella di volgere in aneddoti e paradossi i più
minuti fenomeni della biologia umana: un tappeto di 75 metri quadrati composto
di alveoli polmonari, perché tanto ricoprirebbero queste strutture, se
potessimo distenderle. Oppure una donna avvolta da un unico filo, che
rappresenta la crescita quotidiana dei capelli. Un linguaggio tutt’ora di gran
moda nella comunicazione scientifica.
Giulia
Villoresi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 21 luglio 2017 -
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