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lunedì 10 luglio 2017

Lo Sapevate Che: Lui e Lei, che lasciano Parigi per la Sicilia...



Cara Elasti, mi trovo in un momento un po' difficile: dopo otto anni a Parigi sono giunta alla conclusione che, sebbene abbia fatto un’esperienza molto positiva, non voglio rimanere qui per sempre. Il mio ragazzo e io vogliamo tornare in Italia, nel piccolo angolino di profondo Sud doce siamo nati e cresciuti. Non siamo quelli che il-mondo-è-un-bel-posto-ma-il-mio-micropaesino-è-il-posto-più-bello, non siamo ingenui, semplicemente crediamo che la nostra piccola città possa offrire una qualità di vita che, nel lungo termine, è preferibile. <e poi, soprattutto, è casa nostra. Sentire un senso di appartenenza, di familiarità, non è cosa da niente. Il problema è sorto quando abbiamo dato la notizia alle rispettive famiglie: erano tutti stupiti, increduli e turbati. Nessuno ha esclamato, come ci saremmo aspettati: “Che meraviglia! Tornate a casa dopo otto anni!”. Ci trattavano come se fossimo pazzi. Come se fare un’esperienza e poi concluderla, fosse inaudito e scandaloso. Come se cambiare percorso a 26 anni fosse incamminabile. Certo, qui ho un lavoro a tempo indeterminato e, secondo i miei, questo basta a essere felici. In Sicilia le opportunità sono sicuramente minori che a Parigi, ma noi vogliamo costruirci una vita a casa nostra.  Elena
Cara Elena, i figli rappresentano il prolungamento della vita, il nostro lascito alla società in cui abbiamo abitato. “L’evoluzione è sempre in meglio”, disse una volta la pediatra dei miei figli prendendo le misure dal primogenito, alto, biondo, con gli addominali scolpiti e gli occhi blu, tanto lontano dai due stampi originari. Io sorrisi, fiduciosa e fiera del virtuoso cammino dell’umanità tutta. E’ inevitabile proiettare se stessi nella propria versione 2.0. È facile cedere alla tentazione di vestire i panni del proprio prolungamento e di sognare per sé una seconda change, ripulita dagli inciampi che hanno inquinato la prima. È sbagliato rischioso ma umano ritenere che il bene e la felicità dei figli risieda nell’idea che ci siamo fatti di loro, o forse di noi. Oggi le vostre famiglie non vi ascoltano e non vi capiscono perché diffidano del vostro presunto arretrare. Temono che le vostre ambizioni siano troppo vicine a loro e troppo lontane dai sogni che hanno per voi. Hanno paura che il vostro languore spazzi via il volo degli ultimi otto anni, rintuzzi le vostre aspirazioni e vi riporti in un nido soffocante. Ma poiché ognuno ha il diritto e il dovere di scegliere per sé, voi dovete seguire i vostri desideri e le vostre sirene e assumervi le responsabilità delle vittorie e delle sconfitte. Rientrando, tu e il tuo ragazzo ritroverete le radici, la familiarità, la consuetudine comoda degli affetti, un terreno fertile per seminare, e la vostra casa. Tuttavia, proprio grazie alla vostra esperienza del mondo, a quella casa potrete dare molto e contribuire al benessere e alla vitalità di quei luoghi. Avrete l’opportunità di inventarvi modi nuovi per viverli e per lavorarci. Avrete le competenze per prendere ma anche per dare il meglio alla vostra terra. Tornate quindi. Ma fatelo con sogni grandi, con l’idea di lasciare solchi profondi dopo di voi, non di chiudervi nel vostro focolare e fermarvi. Le vostre famiglie hanno ragione: fare l’università all’estero è un privilegio che va ripagato restituendo alla comunità quello che avete imparato. Dovrete rientrare con a fiducia e l’energia di cambiare il mondo proprio lì dove il mondo per voi è cominciato. Solo così tornare a casa avrà un senso grande e alto, che somiglia a voi ma un po' anche ai sogni dei vostri genitori. In bocca al lupo.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 8 luglio 2017-

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