Cara Elasti, mi trovo in un momento un
po' difficile: dopo otto anni a Parigi sono giunta alla conclusione che,
sebbene abbia fatto un’esperienza molto positiva, non voglio rimanere qui per
sempre. Il mio ragazzo e io vogliamo tornare in Italia, nel piccolo angolino di
profondo Sud doce siamo nati e cresciuti. Non siamo quelli che
il-mondo-è-un-bel-posto-ma-il-mio-micropaesino-è-il-posto-più-bello, non siamo
ingenui, semplicemente crediamo che la nostra piccola città possa offrire una
qualità di vita che, nel lungo termine, è preferibile. <e poi, soprattutto,
è casa nostra. Sentire un senso di appartenenza, di familiarità, non è cosa da
niente. Il problema è sorto quando abbiamo dato la notizia alle rispettive
famiglie: erano tutti stupiti, increduli e turbati. Nessuno ha esclamato, come
ci saremmo aspettati: “Che meraviglia! Tornate a casa dopo otto anni!”. Ci
trattavano come se fossimo pazzi. Come se fare un’esperienza e poi concluderla,
fosse inaudito e scandaloso. Come se cambiare percorso a 26 anni fosse
incamminabile. Certo, qui ho un lavoro a tempo indeterminato e, secondo i miei,
questo basta a essere felici. In Sicilia le opportunità sono sicuramente minori
che a Parigi, ma noi vogliamo costruirci una vita a casa nostra.
Elena
Cara Elena, i figli rappresentano il prolungamento della
vita, il nostro lascito alla società in cui abbiamo abitato. “L’evoluzione è
sempre in meglio”, disse una volta la pediatra dei miei figli prendendo le
misure dal primogenito, alto, biondo, con gli addominali scolpiti e gli occhi
blu, tanto lontano dai due stampi originari. Io sorrisi, fiduciosa e fiera del
virtuoso cammino dell’umanità tutta. E’ inevitabile proiettare se stessi nella
propria versione 2.0. È facile cedere alla tentazione di vestire i panni del
proprio prolungamento e di sognare per sé una seconda change, ripulita dagli
inciampi che hanno inquinato la prima. È sbagliato rischioso ma umano ritenere
che il bene e la felicità dei figli risieda nell’idea che ci siamo fatti di
loro, o forse di noi. Oggi le vostre famiglie non vi ascoltano e non vi
capiscono perché diffidano del vostro presunto arretrare. Temono che le vostre
ambizioni siano troppo vicine a loro e troppo lontane dai sogni che hanno per
voi. Hanno paura che il vostro languore spazzi via il volo degli ultimi otto
anni, rintuzzi le vostre aspirazioni e vi riporti in un nido soffocante. Ma
poiché ognuno ha il diritto e il dovere di scegliere per sé, voi dovete seguire
i vostri desideri e le vostre sirene e assumervi le responsabilità delle
vittorie e delle sconfitte. Rientrando, tu e il tuo ragazzo ritroverete le
radici, la familiarità, la consuetudine comoda degli affetti, un terreno
fertile per seminare, e la vostra casa. Tuttavia, proprio grazie alla vostra
esperienza del mondo, a quella casa potrete dare molto e contribuire al
benessere e alla vitalità di quei luoghi. Avrete l’opportunità di inventarvi
modi nuovi per viverli e per lavorarci. Avrete le competenze per prendere ma
anche per dare il meglio alla vostra terra. Tornate quindi. Ma fatelo con sogni
grandi, con l’idea di lasciare solchi profondi dopo di voi, non di chiudervi
nel vostro focolare e fermarvi. Le vostre famiglie hanno ragione: fare
l’università all’estero è un privilegio che va ripagato restituendo alla
comunità quello che avete imparato. Dovrete rientrare con a fiducia e l’energia
di cambiare il mondo proprio lì dove il mondo per voi è cominciato. Solo così
tornare a casa avrà un senso grande e alto, che somiglia a voi ma un po' anche
ai sogni dei vostri genitori. In bocca al lupo.
Claudia de
Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 8 luglio 2017-
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