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giovedì 26 ottobre 2017

Lo Sapevate Che: Don Carlos parla dell'oggi...



L’imperatrice distolse lo sguardo dalla scena con un movimento brusco, per manifestare il suo dissenso, quando Filippo II rivolto al Grande Inquisitore, scandì con tono sprezzante “tais-toi prétre”. Eugénie, la moglie di Napoleone III, campione dell’ordine morale e nemica di tutto ciò che poteva contrastare il magistero della Chiesa, vide in quella frase un oltraggio inaccettabile. Quasi una bestemmia. È probabile che il compositore non le andasse troppo a genio. Era un patriota d’oltralpe e come tale una minaccia per la Roma pontificia, che le stava a cuore. Lei la voleva occupata e difesa, come era, dalle truppe francesi per impedire che diventasse la capitale dell’Italia unita. Al quarto atto del “Don Carlos”, quando Ildar Abdrazakov, il basso che interpreta il Grande Inquisitore, faccio un balzo indietro nel tempo di 150 anni. Dopo avere navigato per più di tre ore nella musica e nel canto. Lo spettacolo assume per me una piega che definisco forse abusivamente “storica”. È in effetti una semplice cronaca, recuperata nella memoria, mentre sono seduto nella platea della parigina Opera Bastille. Ed è la cronaca della prima repprentazione del “Don Carlos”, nell’edizione francese quella originale. Che è poi quella che sto vedendo. L’edizione italiana verrà dopo e si chiamerà “Don Carlo”. L’undici marzo 1867 è presente in teatro la coppia imperiale, l’intero governo e gli ambasciatori. Giuseppe Verdi ha composto l’opera bottega” come chiamava l’Opera di Parigi, in mesi politicamente agitati. Per lui tormentati. L’esercito italiano è stato battuto a Custoza e la flotta è stata affondata a Lissa da quella austriaca. Mentre sul libretto di Joseph Méry e Camille du Locle crea la musica di quella che (con Falstaff) è non solo per me la sua maggiore opera, Verdi segue con ansia gli avvenimenti dolorosi per un patriota appassionato come lui. Almeno una notizia lo conforta: la consegna di Venezia all’Italia. L’Austria ne ha trasferito la sovranità alla Francia, che a sua volta la cede al governo di Firenze, capitale provvisoria del Regno ancora amputato di Roma. È senz’altro avventato scorgere nella musica che ascolto le emozioni politiche vissute dall’autore mentre la componeva, su una trama ricavata da un dramma di Schiller, molto distante dall’attualità. Lo spettatore si affida all’immaginazione. Pensa fuori campo. È il privilegio di un paria della musica. Ma di ritorno a quell’undici marzo parigino di un secolo e mezzo fa. L’accoglienza del pubblico non è entusiasta e i critici dicono che Verdi “ha fatto del Wagner”, che si è ispirato al compositore tedesco. In realtà, mentre lavorava al “Don Carlos”, Verdi non conosceva ancora le opere Do Wagner. Non poteva quindi esserne stato influenzato. Uno dei maggiori critici parigini, Théophile Gautier, esalta senza riserve la “forza dominatrice” e “la potente semplicità” del “maestro di Parma”. Il Don Carlos” integrale, nella versione originaria, è lo spettacolo principale della ricca stagione lirica parigina. Era il più atteso. Ma come nel 1867 i critici indigeni hanno qualcosa da ridire. Non sull’opera, da un pezzo consacrata: né sui protagonisti di gran lusso, da jona Kafmann a Elina Garanca a Ludovic Tézier; ma sulla regia definita banale, distratta, di Krzysztof Warlikowski, di solito ricco di idee, di sorprese, e questa volta, in una grande occasione, più che normale. Quindi deludente. Eppure l’atmosfera e le scene vagamente anni Quaranta-Cinquanta del secolo scorso, viste dai critici come una scorciatoia sbrigativa del regista, danno alla trama un’impronta che sfugge al tempo. La vicenda in cui si muovono un re e un Infante di Spagna, una principessa di Francia, un Grande Inquisitore, il fantasma di un imperatore e tanti altri personaggi di un’ambiguità moderna, assumono valori fuori dal tempo, o se si vuole costanti nella Storia, cioè di tutti i tempi. Nel “Don Carlos” si scontrano la passionale insensatezza dei sentimenti e la ragion di Stato, l’invadenza della religione nel temporale e l’egemonia del potere laico, il despotismo e il liberalismo, gli slanci del cuore e i doveri del potere. Insomma un dramma politico che può essere dei nostri giorni.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 22 ottobre 2017 -

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