Etichette

domenica 29 ottobre 2017

Lo Sapevate Che: Evitiamo che i giovani si sentano stranieri nella propria vita...



Sono Una Ragazza di diciotto anni che inizia il quinto anno di liceo classico. Fin dalle scuole medie non ho mai incontrato professori capaci di farmi appassionare a una materia un argomento. Niente (in ambito scolastico) riesce a entusiasmarmi. Non voglio mettere in dubbio l’ottima preparazione degli insegnanti ma il loro modo di rapportarsi con noi studenti, la loro freddezza e rigidità nei confronti degli argomenti trattati. Se chiudo gli occhi vedo la scuola come un luogo stimolante, entusiasmante, dove si svelano i misteri dell’universo, della fisica, della lingua, del pensiero, delle passioni, delle emozioni, insomma dove si comprende tutto ciò che è indispensabile per costruire e arricchire la propria cultura, e perché no anche la propria interiorità. Apro gli occhi e, invece, vedo che tutto si riduce a nozionismo, voti, programmi da finire. L’alunno a volte non viene visto più come una persona e forse anche da questo derivano “ansie” e “paure” (quando la scuola si dovrebbe vivere con la massima serenità). Nonostante sia una brava studentessa il pensiero del ritorno a scuola mi angoscia e mi chiedo: è colpa mia, del mio modo di vedere le cose o di terzi?  Ilia dentici iliadentici@gmail.com

Cara Ilis, Non è colpa tua e neppure del tuo modo di vedere le cose. Ne conviene anche un professore (Lvavala@me.com) che così mi scrive: “Le vie della frustrazione o della felicità, o della soddisfazione, o del sorriso, o del pianto, sono individuali. (…) Ma è delittuoso gettare gli adolescenti nel meccanismo delle certificazioni, delle necessità produttive, delle frustrazioni costanti; sospinti in nuovi stati di minorità, bisognerebbe subito riportali a un moderno illuminismo”. Kant definiva l’illuminismo “L’uscita dell’uomo da una condizione di minorità che consiste nell’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di altri” Ora, che i giovani che frequentano la scuola abbiano bisogno di guide culturali è fuori dubbio, purché queste guide non impedicano agli studenti l’uso del proprio intelletto, riducendoli in uno stato di passività come quando lo studente ripete quello che l’insegnante ha detto guardandosi bene dal metterci del suo. Scopo della scuola è addestrare al senso critico, alla non accettazione indiscussa dell’opinione corrente, all’esame dei pro e dei contro, alla discussione argomentata e non alla semplice ripetizione pedissequa di quel che l’insegnante ha spiegato. Solo così gli studenti si sentiranno nella classe soggetti attivi, impegnati in discussioni proficue, in cui sono costretti a praticare la parola in pubblico, curando vocabolario, grammatica e sintesi, in un clima che sia di reciproco e attento ascolto e partecipazione emotiva. L’apprendimento, infatti, non è frutto di “buona volontà” come sono soliti dire i professori in quegli inutili e sbiaditi colloqui con i genitori, perché tutti sappiamo che la buona volontà è promossa dall’interesse, e l’interesse non esiste separato da un legame emotivo. Ne consegue che se l’incuria dell’emotività o la sua cura a livelli sbrigativi diventa la costante che si riscontra nelle nostre classi, anche i contenuti culturali quando la trasmissione riesce, restano contenuti della mente senza diventare spunti formativi del cuore. E questo accade soprattutto là dove il rapporto tra studenti e insegnanti è regolato da una reciproca diffidenza, quando non da una inspiegabile paura degli allievi nei confronti dei professori, o dei professori nei confronti degli allievi. Clima questo perfettamente adatto per far giungere agli studenti quanto di iù lontano e astratto cìè in ordine alla loro vita dove il sapere, per difetto di trasmissione, non riesce a diventare nutrimento della passione, senza la quale l’interesse per la cultura non nasce, e se mai per caso fosse nato, come sembra lasciar intendere il sogno di Ilia, inesorabilmente si estingue. Se la scuola deve rispondere non solo in termini di istruzione ma anche in termini di educazione, non può prescindere dalla cura dell’emotività in quella stagione, adolescenza, dove il cuore non sa se avere legami con l’ideale o col sesso, dove la rabbia non sa se scatenarsi su di sé o sugli altri, dove l’eccesso della vita travalica talvolta pericolosamente la misura, dove malinconie radicali inducono alla demotivazione quando non alla depressione, dove il volume delle sensazioni oltrepassa di gran lunga la capacità delle parole  disponibili per esprimerle. In questa stagione, caratterizzata da un inquieto disordine, che fa la scuola? E soprattutto che attinenza hanno con questa instabilità adolescenziale le riforme autonomie gestionali, rivalutazione della funzione del preside. Nuovi programmi in funzione di nuovi profili professionali, accorpamenti di indirizzi di studio, lavagne luminose, registri digitali, informatizzazione di questo e di quello, quando l’unica cosa necessaria è la cura emotiva di chi sta crescendo, con tutte le difficoltà che si frappongono alla faticosa costruzione del proprio percorso futuro.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 21 ottobre 2017 -

Nessun commento:

Posta un commento