Visitare L’Iran È un’esperienza tanto più intensa, se a
farlo sono donne occidentali. Lo so perché ho viaggiato con loro: amiche di mia
moglie, un gruppo piccolo ma variegato, con passaporti italiano, francese,
croato, americano e brasiliano. Anche per noi mariti è stato un viaggio
straordinario, ma le donne erano in prima linea nell’affrontare le realtà più
controverse. Il velo obbligatorio non è un sacrificio da poco. Tant’è che
alcune iraniane più giovani e spregiudicate osano contestarlo. Altre, più
numerose, manifestano in privato la loro insofferenza. Al di là del simbolo di discriminazione
contro le donne, della sessuofobia dell’Islam nell’interpretazione che ne danno
i suoi leader contemporanei, c’è l’aspetto pratico. Appena le temperature
salgono quella stoffa in testa è un fardello, fa sudare sgradevolmente. Il velo
è stato un tema costante del viaggio: se si ha spirito di osservazione, diventa
un test sull’evoluzione della società iraniana. È obbligatorio, sì, ma in
pubblico. E ci sono tante versioni, dietro le quali emergono le personalità
delle donne. C’è chi lo porta nero e chi lo sceglie coloratissimo. C’è un modo
sottile di lasciarlo scivolare all’indietro scoprendo ampie ciocche di capelli
(tinte, appena uscite dal parrucchiere), finché mezza testa è “nuda”. Le donne
occidentali in Iran attirano l’attenzione. Curiosità, molta. Ostilità, poca e
rara, almeno nelle città che abbiamo attraversato: Kashan, Isfahan, Yazd,
Rayen, Shiraz. Non è solo per come portano il velo (generalmente sgargiante e
disordinato) che vengono osservate con sguardi stupiti e divertiti. C’è dell’altro
che può fare scalpore. È la presenza in pubblico, la gestualità, il modo di
parlare, la disinvoltura e i toni vivaci della voce, l’atteggiamento verso i
mariti. Da questo body language
traspare qualcosa che per noi è scontato e cioè sicurezza e autostima, uno
status sociale che è stato conquistato in America e in Europa ma non altrove.
La varietà di atteggiamenti delle donne è molto ricca, in Iran, Ci è capitato
di trovarci in un ristorante a fianco di una lunga tavolata (anzi, un divano di
legno coperto di tappeti, dove si mangia accovacciati) che era solo femminile.
Con un po' di ginnastica linguistica – l’inglese non è molto diffuso – abbiamo
appreso che era un gruppo di professoresse in pensione, in gita turistica.
Variopinte, “discinte” nell’uso del velo, allegre, estroverse. Hanno animato il
nostro pranzo con le loro risate e gioia di vivere. Non bisogna credere che la
dittatura politica e l’oscurantismo religioso facciano dell’Iran una nazione
triste. Tutt’altro. Poi c’è la complicità femminile. Noi veniamo tagliati
fuori, allontanati, appena cominciano le confidenze. Tipico è il gesto
dell’iraniana che fa vedere all’italiana le sue foto su WhatsApp: “Guarda come
mi vesto a casa mia”. Seminude, senza velo, iper-sexy, così ce le hanno raccontate
a posteriori le nostre mogli ammesse nel cerchio delle rivelazioni. Lo
scollamento tra gli obblighi pubblici e le preferenze private è enorme,
mostruoso. Infine c’è Teheran, la megalopoli è un mondo a parte. Più grande di
New York, diversa dal resto dell’Iran così come New York non rappresenta
l’America. Passeggi sulle alture di Bame-Teheran, sopra i quartieri
residenziali della borghesia medio alta, e lì il velo è accessorio di lusso,
indossato in modo scanzonato, quasi lascivo, scivola con negligenza in uno
sfoggio di Hermés, Gucci, Ferragamo. Nei caffè letterari della capitale.
Affollati di giovani artiste, le teste si scoprono del tutto. Ma basta prendere
il metrò verso la Teheran bassa, i quartieri popolari, ed ecco riapparire le
donne in nero, Anche nella disinvolta capitale, il velo non è mai un dettaglio.
E’ un segnale per definire ciò che si è e, o si vuol essere.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 19
maggio 2018 -
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