Vi
Prego Ponete fine alle guerre. Non
posso credere che nel 2018, con tutto il progresso che si è verificato, siamo
ancora ridotti a dover ucciderci tra noi. Non posso credere che con tutta la
civiltà che diciamo di avere alle spalle, ancora dobbiamo produrre che
uccideranno tanti uomini, donne, tanti bambini ma soprattutto tanti innocenti.
Ridate la pace a questo mondo. Non mettete in testa alle donne di uccidere: le
donne sono portatrici di vita, non di morte. Non mettete in testa agli uomini
di dover ammazzare: non sono nati per sacrificare i loro fratelli, anche se
questi vengono definiti “nemici”. Non mandate gli uomini a morire lontano da
casa, sotto gli occhi di chi non saprà neanche i loro nomi. Non permettete che le
donne vengano violentate perché considerate bottino di guerra. Non lasciate che
i bambini debbano pensare a sopravvivere quando dovrebbero giocare. Lasciatemi
scrivere queste parole così semplici e così inutili, queste parole che nessuno
ascolterà. Perché una piccola voce di pace non sarà mai sentita da nessuno con
tutto questo rumore di armi da fuoco e di grida e pianti di un’umanità
distrutta.
Questa Sua Lettera le varrà l’accusa di buonismo, se addirittura le varrà
attribuita una buona dose di ingenuità a opera di quanti ritengono che, siccome
ha fatto la sua comparsa insieme alle prime comunità umane, la guerra è
qualcosa di endemico e quindi di inestirpabile. Sono questi i ragionamenti dei
pigri di mente, i quali ritengono che una cosa, se è così antica, è
immodificabile, come se il progresso dell’umanità, la sua avanzata
civilizzazione, la sua acculturazione non avessero alcun potere su un evento
così atroce come la guerra. E questo anche per colpa dei poeti, dei romanzieri,
degli storici, dei cineasti che hanno abbellito tutte le guerre col mito del
patriottismo, del coraggio, dell’eroismo, nascondendo opportunamente il terrore
che i combattenti non possono confessare per non apparire vili. A tutti
costoro, e a noi che ne siamo plagiati, consiglierei la lettura de Il fascino oscuro della guerra (laterza) di
Chris Hedges, corrispondente di guerra per il New York Times, il quale, contro la rappresentazione della guerra
da parte dei media che celebrano eroismo e compassione, a cui noi partecipiamo
rassicurati del fatto di non esserne coinvolti, ci avverte che: “Non sentiamo
odore di carne putrefatta, non ascoltiamo i lamenti dell’agonia e non vediamo
davanti a noi il sangue e le viscere che erompono dai corpi. Osserviamo – a
distanza – l’ardore e l’eccitazione, ma non viviamo l’ansia che torce le
budella e l’umiliazione che accompagna un pericolo mortale. Ci vuole
l’esperienza della paura e del caos del campo di battaglia, ci vuole il suo
rumore assordante e spaventoso per risvegliarci, per farci capire che non siamo
come credevamo di essere, che la guerra ricostruita dall’industria
dell’informazione e dello spettacolo in molti casi ha il realismo di un
balletto”. La guerra è “necrofila”, non solo perché ammazza, ma perché richiede
in chi si appresta a uccidere che abbia superato dentro di sé quella barriera
psicologica che ti fa compiere un atto contro natura. Come ci ricorda Hegel”:
gli animali ammazzano per fame, ma gli uomini non si nutrono delle loro
vittime. Ammazzano per il piacere del riconoscimento che il vincitore trae
dall’assoggettamento del vinto. Quindi niente di biologico (la fame), tutto di
culturale (il riconoscimento), mentre l’innegabile progresso della cultura e
della civiltà, a cui tendono tutti i popoli, seppure in tempi diversi, non è
mai riuscito a spegnere un’arma. Ma oltre alla necrofilia, come superamento di
una barriera psicologica interiore, la guerra porta a un “oggettivazione” degli
esseri umani non più percepiti come soggetti, perché, come ci ricorda Hedges,
in guerra: “Gli esseri umani diventano oggetti, oggetti da distruggere o da
usare per gratificazioni carnali. Quando la vita non vale niente, quando non si
è sicuri di sopravvivere, quando a governare gli uomini è la paura, spesso si
ha la sensazione che rimangano solo la morte o un fugace piacere carnale”. E
poi la guerra non finisce con la fine della guerra. Un recente studio sulla
seconda guerra mondiale ha documentato che, dopo sessanta giorni di
combattimenti, il 98% dei sopravvissuti ha subito danni psichiatrici che
condussero alcuni a permanenti disadattamenti sociali successivi, altri ancora
al suicidio. Perché oltre alla droga, regolarmente somministrata in guerra per
superare le barriere psicologiche a cui prima abbiamo accennato, è proprio
questo superamento delle barriere che non ti consente più di riconoscerti come
un uomo che può convivere con gli altri uomini. E questa è la ragione per cui
Platone può dire: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 5 maggio 2018 -
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