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venerdì 4 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Quando un intoccabile va a cavallo...


C’è Qualcosa Di bello nel vedere qualcuno che cavalca. Ma l’immagine veicola anche messaggi sublimali. Il primo è che eleva il cavaliere sopra il livello della strada. Gli altri devono alzare gli occhi per guardarlo Questa differenza fisica si traduce anche in una differenza psicologica: non è facile intimidire un uomo che ti sovrasta. Inoltre, il potere del cavallo si trasmette al cavaliere. La velocità, le dimensioni, i denti grandi, le gambe forti e l’assoluta imprevedibilità dell’animale possono spaventare chiunque si trovi sul suo cammino. E’ anche per questo che andare a cavallo può essere un atto di resistenza sociopolitica, un modo per rivendicare la propria dignità. Recentemente ci sono stati diversi fatti di cronaca che hanno visto coinvolti dei cavalli. In uno di questi, un ragazzo dalit (i cosiddetti intoccabili), Pradeep Rathod, è stato ucciso perché ne possedeva uno. Nemmeno l’animale è stato risparmiato: i due cadaveri sono stati trovati insieme. La famiglia sostiene che il giovane fosse stato messo in guardia dal cavalcare; nella tradizione è un privilegio delle caste superiori. Per millenni, le cosiddette caste inferiori, i dalit in particolare, hanno avuto pochissime ricchezze, terre o beni. I cavalli sono costosi da mantenere, e anche se non servono più a molto come mezzo di trasporto o in guerra rimangono uno status symbol. Per un dalit, andare a avallo significa dimostrare di poterselo permettere e di avere anche lui diritto a “salire più in alto”. A chi non sopporta di vedere dalit a cavallo, serve a ricordare che non può più trattarli come schiavi, che non possiede diritti in virtù delle sue origini. Non è l’unico caso, In India, negli Stati settentrionali, occidentali e centrali, la tradizione voleva che lo sposo andasse a casa della sposa su una giumenta. Nelle città molti sono passati alle auto, ma il romanticismo equestre persiste. Non è insolito neanche oggi vedere uno sposo con abiti da cerimonia, turbante e fili di fiori in sella a un cavallo. L’idea è che, per almeno un giorno, un uomo possa atteggiarsi a principe come la sposa viene trattata da principessa. E così i matrimoni dalit sono diventati un altro rovente terreno di scontro. Le caste superiori trovano offensivo vedere gli sposi dalit cavalcare giumente come farebbero i loro ragazzi. Perciò li minacciano fisicamente. In un altro caso, i membri di una casta alta, i thakur, hanno rifiutato il permesso a una processione nuziale di percorrere la “loro” strada. La polizia, invece di garantire protezione agli invitati, ha predisposto un percorso alternativo. Nel 2017 i giornali hanno scritto di uno sposo dalit disarcionato durante il corteo, e dei suo familiari picchiati. Nel 2016 un gruppo di thakur aveva bloccato un matrimonio dalit parcheggiando dei trattori in mezzo alla strada. N un’altra occasione, sempre dei thakur, avevano aggredito, bene armati, un corteo nuziali dalit. Nel 2015, gli invitati a un matrimonio dalit erano stati presi a sassate. Lo sposo per precauzione, aveva indossato durante il tragitto a cavallo un casco integrale. Leggendo queste notizie ho pensato al film Django Unchained. Sono rimasta colpita dalle espressioni che avevano tutti i personaggi neri e bianchi, maschi e femmine, quando vedevano un uomo nero a cavallo. Era più stupore che invidia. Django li stupiva e li disorientava: ma come, un uomo nero e ben vestito in sella! Tutti gli altri uomini neri del fil sono in catene, o vengono venduti, frustrati o obbligati ad uccidersi a vicenda. Django costringe i bianchi a mettere in discussione ciò che danno per scontato: la loro superiorità, il diritto di trattare gli altri da animali. E spinge anche i neri a riflettere sul loro status: perché non possono stare in sella a un cavallo, come uomini liberi? Ma Django è un’opera di finzione, ambientata nel XIX secolo. Ciò che sta avvenendo nell’India del XXI secolo è altrettanto scioccante, è altrettanto razzista, e non è finzione. (Traduzione Fabio Galimberti)
Annie Zaidi – Opinioni – Donna di La Repubblica -  28 Aprile 2018 -

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