C’è Qualcosa Di bello nel vedere qualcuno che cavalca.
Ma l’immagine veicola anche messaggi sublimali. Il primo è che eleva il
cavaliere sopra il livello della strada. Gli altri devono alzare gli occhi per
guardarlo Questa differenza fisica si traduce anche in una differenza
psicologica: non è facile intimidire un uomo che ti sovrasta. Inoltre, il
potere del cavallo si trasmette al cavaliere. La velocità, le dimensioni, i
denti grandi, le gambe forti e l’assoluta imprevedibilità dell’animale possono
spaventare chiunque si trovi sul suo cammino. E’ anche per questo che andare a
cavallo può essere un atto di resistenza sociopolitica, un modo per rivendicare
la propria dignità. Recentemente ci sono stati diversi fatti di cronaca che
hanno visto coinvolti dei cavalli. In uno di questi, un ragazzo dalit (i cosiddetti intoccabili),
Pradeep Rathod, è stato ucciso perché ne possedeva uno. Nemmeno l’animale è
stato risparmiato: i due cadaveri sono stati trovati insieme. La famiglia
sostiene che il giovane fosse stato messo in guardia dal cavalcare; nella
tradizione è un privilegio delle caste superiori. Per millenni, le cosiddette
caste inferiori, i dalit in
particolare, hanno avuto pochissime ricchezze, terre o beni. I cavalli sono costosi
da mantenere, e anche se non servono più a molto come mezzo di trasporto o in
guerra rimangono uno status symbol. Per un dalit,
andare a avallo significa dimostrare di poterselo permettere e di avere anche
lui diritto a “salire più in alto”. A chi non sopporta di vedere dalit a cavallo, serve a ricordare che
non può più trattarli come schiavi, che non possiede diritti in virtù delle sue
origini. Non è l’unico caso, In India, negli Stati settentrionali, occidentali
e centrali, la tradizione voleva che lo sposo andasse a casa della sposa su una
giumenta. Nelle città molti sono passati alle auto, ma il romanticismo equestre
persiste. Non è insolito neanche oggi vedere uno sposo con abiti da cerimonia,
turbante e fili di fiori in sella a un cavallo. L’idea è che, per almeno un
giorno, un uomo possa atteggiarsi a principe come la sposa viene trattata da
principessa. E così i matrimoni dalit
sono diventati un altro rovente terreno di scontro. Le caste superiori trovano
offensivo vedere gli sposi dalit cavalcare
giumente come farebbero i loro ragazzi. Perciò li minacciano fisicamente. In un
altro caso, i membri di una casta alta, i thakur, hanno rifiutato il permesso a
una processione nuziale di percorrere la “loro” strada. La polizia, invece di
garantire protezione agli invitati, ha predisposto un percorso alternativo. Nel
2017 i giornali hanno scritto di uno sposo dalit disarcionato durante il
corteo, e dei suo familiari picchiati. Nel 2016 un gruppo di thakur aveva bloccato un matrimonio dalit parcheggiando dei trattori in
mezzo alla strada. N un’altra occasione, sempre dei thakur, avevano aggredito, bene armati, un corteo nuziali dalit. Nel 2015, gli invitati a un
matrimonio dalit erano stati presi a
sassate. Lo sposo per precauzione, aveva indossato durante il tragitto a
cavallo un casco integrale. Leggendo queste notizie ho pensato al film Django
Unchained. Sono rimasta colpita dalle espressioni che avevano tutti i
personaggi neri e bianchi, maschi e femmine, quando vedevano un uomo nero a
cavallo. Era più stupore che invidia. Django li stupiva e li disorientava: ma
come, un uomo nero e ben vestito in sella! Tutti gli altri uomini neri del fil
sono in catene, o vengono venduti, frustrati o obbligati ad uccidersi a
vicenda. Django costringe i bianchi a mettere in discussione ciò che danno per
scontato: la loro superiorità, il diritto di trattare gli altri da animali. E
spinge anche i neri a riflettere sul loro status: perché non possono stare in
sella a un cavallo, come uomini liberi? Ma Django è un’opera di finzione,
ambientata nel XIX secolo. Ciò che sta avvenendo nell’India del XXI secolo è
altrettanto scioccante, è altrettanto razzista, e non è finzione. (Traduzione Fabio Galimberti)
Annie
Zaidi – Opinioni – Donna di La Repubblica -
28 Aprile 2018 -
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