L’obbedienza non è più una virtù,
perché IL conformismo è il peggior nemico delle aziende che hanno bisogno di
idee brillanti per prosperare su mercati sempre più competitivi. ‘ la tesi del
saggio Rebel talent: why it pays to break
the rules at worl and in life (“Talento
ribelle: perché conviene rompere le regole al lavoro e nella vita”, ed. Dey
Street Books, pp.304, euro 14,95) di Francesca Gino, docente alla Harvard
Business School, considerata una dei maggiori esperti internazionali di
processi decisionali. A chi servono i talenti ribelli? “Oggi il problema di tante
organizzazioni è che i dirigenti e i responsabili delle risorse umane,
spaventati dall’idea che i dipendenti possano diventare troppo autonomi e
deviare dalla loro idea di “orine”, esagerano nella direzione opposta: creano
un clima aziendale di conformismo e bovina accettazione della prassi e dei
desiderata dei capi. È un problema perché, come provano ormai molte ricerche,
il conformismo aziendale e la sensazione che la propria individualità non sia
riconosciuta sono fra le maggiori cause di disaffezione dal lavoro”. Ma il ribelle non rischia di venire etichettato più semplicemente come un
piantagrane?
“Dipende dai manager. Ce ne sono alcuni che, oltre a essere loro stessi dei
talenti ribelli, e quindi persone brillanti e ad alto valore aggiunto riescono
a stimolare nei loro laboratori un sano e costruttivo anticonformismo.
Prendiamo Massimo Bottura: pur essendo uno degli chef più famosi del mondo,
quando si presenta al mattino nella sua Osteria Francescana a volte esce in
strada e si mette a spazzare i marciapiedi con la scopa. E se arriva il camion
con i prodotti freschi, sale su per controllarli e già che c’è aiuta anche a
scaricarli. Sono comportamenti sorprendenti per un uomo di successo, che
suscitano nei collaboratori, da sous-chef
a tutti gli altri, il pensiero: “Se lo fa lui, perché non dovrei farlo
anch’io?”. Oltre a mostrare i modi costruttivi di contravvenire alle norme e
alla routine, i bravi manager devono anche essere molto chiari su quali regole
possono essere violare e quali no. Ci fa un esempio? “Prendiamo Mellody Habson,
presidente di Ariel Investiment dopo essere stata nel board di Dreamworks.
Quando è presente a una riunione dove tutti sembrano d’accordo e non si
sollevano obiezioni e domande, e quindi ci si adagia sullo status quo ed è
difficile che sorgano nuove idee, lei fa notare la cosa con frasi sarcastiche
come “È tempo di preparare le ciambelle!” citando un vecchio spot tv dove un
panettiere recitava sempre quella frase con voce monotona. La Hobson vuole
riunioni animate, dove si è liberi di criticare le idee rispettando le persone.
E allo stesso tempo non lascia nessuna ambiguità sulle regole da rispettare
sempre, ad esempio quella che quando si scrive ai clienti, almeno due paio
d’occhi debbano leggere lettere ed e-mail così, da evitare errori e
incomprensioni che potrebbero mettere in cattiva luce l’azienda. Quando invece
un’organizzazione teme che i talenti ribelli conducano all’anarchia, è perché
non sa essere chiara sui contesti dove la creatività e le infrazioni alla
routine possono essere utili e i contesti dove invece si potrebbero rivelare
dannosi”. Cosa possono fare i manager per stimolare i
dipendenti ad essere più creativi e liberi di esprimere il loro senso critico? “Seguire l’esempio di Greg Dyke, che
è stato direttore generale della Bbc dal 2000 al 2004 e ha risollevato
l’azienda coi suoi metodi innovativi. Oggi il tipico consiglio a un nuovo
dirigente è grossomodo: “Imponi la tua visione, delega quello che puoi e buona
fortuna nel produrre cambiamenti”. Dyke ha fatto tutto l’opposto. Nei cinque
mesi prima di accettare l’incarico, ha visitato tutti gli uffici dell’azienda,
anche quelli più remoti e secondari, per fare domande, per imparare, per
stabilire un rapporto personale con i dipendenti. Diventato direttore ha
portato pratiche originali per snidare e combattere il conformismo. Ad esempio
ha fatto stampare e distribuire a tutti dei cartellini gialli – uguali a quelli
degli arbitri di calcio - che qualunque dipendente potesse esibire quando, in
una discussione o riunione, qualcuno sollevasse barriere a idee ritenute troppo
anticonformiste”. A proposito: come si fa a
incoraggiare l’espressione di pareri critici? “Aziende illuminate come la Pixar usano una tecnica
che chiamano plussing (addizione, aggiunta). È un trucco dell’improvvisazione
teatrale, quando due attori improvvisano, e il primo dice una cosa, tipo “Sono
appena stato dal barbiere”, l’altro non dirà mai “Impossibile, sei spettinato”.
Dirà qualcosa come “Sì, e però hai trovato chiuso?”. La regola, insomma, quando
qualcuno esprime un’idea, è aggiungere “Sì, e…” Così si evita quella che Edwin
Catmull, presidente di Pixar, chiama la “pausa della morte”. Ovvero quel
silenzio imbarazzato che si crea quando proprio non si riesce a dire una cosa
gentile. Immagini di incontrare un vecchio amico che non vedeva da tempo. Ha un
passeggino e ci indica il figlio. Guardiamo il bambino e c’è quell’attimo di
silenzio, invece dell’immediato “Che bello!”, che fa capire all’amico che non
siamo particolarmente impressionati dal pargolo. Una simile, spiacevole
sensazione è quella che si prova in azienda quando un manager accoglie con una
pausa eloquente, invece che con un “Sì, e…” “Sì, ma…” le idee di un suo
sottoposto. C’è qualche altro modo per aiutare i
talenti ad essere un po' più ribelli e quindi creativi? “Alcuni accorgimenti verbali possono
essere preziosi. In uno studio appena pubblicato sull’Academy of Management Journal, mostro che quando nel prendere
una decisione di lavoro ci domandiamo “Cosa potremmo
fare per…” invece di “Cosa dovremmo
fare per…” produciamo idee più originali”.
Giuliano Aluffi – Economie o Disubbidienti – Il Venerdì di La
Repubblica – 4 maggio 2018 -
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