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lunedì 21 maggio 2018

Lo Sapevate Che: L'Arte di splendere in un mondo sempre più omologato...


Mi Sento Inserita in una generale conformazione a un sempre più standardizzato modello di scarpe, amore, vita e dolore, a cui contrappongo una posizione di militanza contro la chiusura n un universo omologato. Siamo belli, dunque deturpiamoci è un capitolo della raccolta di Lettere Luterane di Pier Paolo Pasolini: nonostante l’arco temporale non trascurabile, è facile riconoscere la sua vivida attualità. Oggi, dopo una fase di isolamento individuale ben rappresentato dallo stereotipo dell’adolescente attaccato ai video giochi, chiuso nelle cuffie e privo di contatto umano, si è passati a un isolamento nel mondo dei social dove, nel mostrare i propri gesti, si è proiettati in un’individualità socializzata e non sociale. Nel bisogno di vedere legittimati noi stessi negli altri si scorge il pericoloso limite che porterebbe a essere se stessi per gli alti, con l’incapacità di vivere azoni se non nell’obiettivo di essere riconosciuti con la supervisione e “like” altrui. Abbiamo raggiunto la forma più raffinata di conformismo. L’appiattimento delle relazioni rischia di destinare alla monodimensionalità i sentimenti, e di proseguire un modello di felicità standardizzato che trasformerebbe gli esseri umani in automi. Come dice Marcuse in L’uomo a una dimensione, occorre opporsi all’avanzata di un universo spersonalizzato e uniforme. Senza dimenticare il monito di Pasolini: “I desinati a essere morti non hanno certo gioventù splendenti: ed ecco che ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece”.    Sara Rainolti  sararainoldi.sara@gmail.com

La Maggioranza Dei giovani non legge, ma qualcuno sì. E non solo best-seller sull’onda della novità letteraria ma anche libri di qualche decennio fa come: L’uomo a una dimensione di Marcuse (1964) e le Lettere Luterane di Pasolini (1975), perché nelle loro pagine trovano chiavi interpretative perfettamente idonee a comprendere il mondo contemporaneo, anche se questo mondo sembra del tutto diverso da quello in cui vivevano quegli autori. Quando un pensiero è profondo e s’inabissa fino alle radici dei fenomeni che vuole spiegare, quel pensiero non muore mai e il resto che lo esprime diventa un “classico”. Ne L’uomo a una dimensione Marcuse mostra come il progresso della nostra civiltà esige una dose sempre più massiccia di conformismo, a cui è praticamente impossibile sottrarsi per effetto dell’omologazione al mondo dei prodotti che consumiamo, al mondo degli strumenti tecnici e amministrativi di cui si serviamo, al mondo dei nostri simili, retrocessi al ruolo di funzionari di apparati, per cui ad essi ci rapportiamo non come a persone, ma come a rappresentanti del mondo delle cose. Questo pensiero era già stato anticipato da Nietzsche a proposito di quelli che lui chiamava “ultimi uomini” che si accontentavano di “una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, salvo restando la salute. Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sé n manicomio”. In quest’altro contesto questo motivo è ripreso da Freud là dove parla della “miseria psicologica della massa. Un pericolo che incombe maggiormente dove il legame sociale si è stabilito soprattutto attraverso l’identificazione reciproca dei vari membri”. Questo fenomeno non sfugge neppure a Heidegger che parla della “dittatura del Sì impersonale£ per cui: “Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte. Leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si giudica. Ci teniamo lontani dalla “gran massa” come ci si tiene lontani. In questo stato di irrilevanza e indistinzione il Sì esercita la sua tipica dittatura”. È una dittatura che, per imporsi, non ha bisogno di mezzi coercitivi, le basta diffondere la persuasione che il mondo in cui viviamo non è uno dei mondi possibili, ma l’unici mondo al di fuori del quale non si danno migliori possibilità d’esistenza. E così, all’insegna del “sano realismo” venduto come valore, ai giovani, innamorati dei loro sogni e affascinati dalle loro utopie che magari, sostenute dall’entusiasmo tipico della giovinezza, si potrebbero anche realizzare, si insegna quella rassegnazione che nasce quando, alzando gli occhi al celo, non si vedono più stelle. In un mondo sempre più omologato e conformista la lettera di Sara ci invita a essere “eccezioni”, non tanto per essere “eccentrici”, che spesso, nel mondo giovanile, è la forma più camuffata di conformismo, ma per non spegnere dentro di noi quel tratto tipico della nostra personalità che ci rende unici e diversi, perché è lì che si nasconde il segreto per cui, anche per quella minima parte che ci compete, il mondo può essere cambiato.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 12 maggio 2018 -

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