Mi Sento Inserita in una generale conformazione a un sempre più standardizzato modello di
scarpe, amore, vita e dolore, a cui contrappongo una posizione di militanza
contro la chiusura n un universo omologato. Siamo
belli, dunque deturpiamoci è un capitolo della raccolta di Lettere Luterane
di Pier Paolo Pasolini: nonostante l’arco temporale non trascurabile, è facile
riconoscere la sua vivida attualità. Oggi, dopo una fase di isolamento
individuale ben rappresentato dallo stereotipo dell’adolescente attaccato ai
video giochi, chiuso nelle cuffie e privo di contatto umano, si è passati a un
isolamento nel mondo dei social dove, nel mostrare i propri gesti, si è
proiettati in un’individualità socializzata e non sociale. Nel bisogno di
vedere legittimati noi stessi negli altri si scorge il pericoloso limite che
porterebbe a essere se stessi per gli alti, con l’incapacità di vivere azoni se
non nell’obiettivo di essere riconosciuti con la supervisione e “like” altrui.
Abbiamo raggiunto la forma più raffinata di conformismo. L’appiattimento delle
relazioni rischia di destinare alla monodimensionalità i sentimenti, e di
proseguire un modello di felicità standardizzato che trasformerebbe gli esseri
umani in automi. Come dice Marcuse in L’uomo
a una dimensione, occorre opporsi all’avanzata di un universo
spersonalizzato e uniforme. Senza dimenticare il monito di Pasolini: “I
desinati a essere morti non hanno certo gioventù splendenti: ed ecco che ti
insegnano a non splendere. E tu splendi, invece”. Sara Rainolti sararainoldi.sara@gmail.com
La Maggioranza Dei giovani non legge, ma qualcuno sì. E non
solo best-seller sull’onda della novità letteraria ma anche libri di qualche
decennio fa come: L’uomo a una dimensione
di Marcuse (1964) e le Lettere
Luterane di Pasolini (1975), perché nelle loro pagine trovano chiavi
interpretative perfettamente idonee a comprendere il mondo contemporaneo, anche
se questo mondo sembra del tutto diverso da quello in cui vivevano quegli
autori. Quando un pensiero è profondo e s’inabissa fino alle radici dei
fenomeni che vuole spiegare, quel pensiero non muore mai e il resto che lo
esprime diventa un “classico”. Ne L’uomo
a una dimensione Marcuse mostra come il progresso della nostra civiltà
esige una dose sempre più massiccia di conformismo, a cui è praticamente
impossibile sottrarsi per effetto dell’omologazione al mondo dei prodotti che
consumiamo, al mondo degli strumenti tecnici e amministrativi di cui si
serviamo, al mondo dei nostri simili, retrocessi al ruolo di funzionari di
apparati, per cui ad essi ci rapportiamo non come a persone, ma come a
rappresentanti del mondo delle cose. Questo pensiero era già stato anticipato
da Nietzsche a proposito di quelli che lui chiamava “ultimi uomini” che si
accontentavano di “una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte,
salvo restando la salute. Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi
sente diversamente va da sé n manicomio”. In quest’altro contesto questo motivo
è ripreso da Freud là dove parla della “miseria psicologica della massa. Un
pericolo che incombe maggiormente dove il legame sociale si è stabilito
soprattutto attraverso l’identificazione reciproca dei vari membri”. Questo
fenomeno non sfugge neppure a Heidegger che parla della “dittatura del Sì
impersonale£ per cui: “Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte.
Leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si
giudica. Ci teniamo lontani dalla “gran massa” come ci si tiene lontani. In
questo stato di irrilevanza e indistinzione il Sì esercita la sua tipica
dittatura”. È una dittatura che, per imporsi, non ha bisogno di mezzi
coercitivi, le basta diffondere la persuasione che il mondo in cui viviamo non
è uno dei mondi possibili, ma l’unici mondo al di fuori del quale non si danno
migliori possibilità d’esistenza. E così, all’insegna del “sano realismo”
venduto come valore, ai giovani, innamorati dei loro sogni e affascinati dalle
loro utopie che magari, sostenute dall’entusiasmo tipico della giovinezza, si
potrebbero anche realizzare, si insegna quella rassegnazione che nasce quando,
alzando gli occhi al celo, non si vedono più stelle. In un mondo sempre più
omologato e conformista la lettera di Sara ci invita a essere “eccezioni”, non
tanto per essere “eccentrici”, che spesso, nel mondo giovanile, è la forma più
camuffata di conformismo, ma per non spegnere dentro di noi quel tratto tipico
della nostra personalità che ci rende unici e diversi, perché è lì che si
nasconde il segreto per cui, anche per quella minima parte che ci compete, il
mondo può essere cambiato.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 12 maggio 2018 -
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