Ricordo Un
Lento avvicinarsi,
seguito da un cauto annusarsi e da un guardingo tastarsi. Ricordo l’improvvisa
e felice epifania del riconoscersi. E poi ricordo lo scegliersi, l’una per
l’altra, in un rapporto intimo, esclusivo come la passione. Ricordo il
concedersi, il confidarsi, il promettersi. Poteva durare giorni o mesi, Rare
volte persino un anno. Era un equilibrio labile, insidiato dalla gelosia, dai
tradimenti, dalla delusione ma anche illuminato dalla scoperta di
corrispondenze e di affinità. Me la ricordo così l’amicizia tra ragazzine: un
affare serissimo dai contorni melodrammatici, dichiarazioni assolute, legami
esterni e tetragoni benché solo nelle intenzioni. Con l’età inevitabilmente quei
vincoli si fanno più laschi, talvolta mantenendo un groviglio di territorialità
e protervia, talvolta invece sfilacciandosi a favore di altri nodi-partner,
figli, lavoro-più urgenti. Quella relazione necessaria e complessa che è
l’amicizia femminile resta dentro come un languore, un sogno bambino che non
abbiamo mai smesso di coltivare. E loro, i maschi, come diventano amici? Quali
forme hanno o loro legami? Di che pasta è fatta la loro complicità? Ho avuto da
sempre l’impressione che loro siano diversi, più rilassati e lineati,
refrattari all’estetica tragica in cui tentiamo a crogiolarci noialtre, fluidi
e disinvolti nella capacità di inclusione, estranei a rancori o gelosie, meno
esigenti forse ma anche più fedeli nella loro candida infedeltà. Lo vedevo tra
i miei amici al tempo in cui le amicizie erano un lavoro a tempo pieno, me lo
confermano i miei figli nella profonda leggerezza dei loro legami, nel
cameratismo disinvolto ma leale, in quella solidarietà lasca eppure
inossidabile, nella generosa porosità delle loro superfici ruvide. “Vuoi molto
bene a Matteo, vero?”, domando a mio figlio minore, rientrato a casa da uno
sfrenato pomeriggio d giochi con il suo migliore amico, scelto all’età di due
anni e mai lasciato. “No”. Risponde. “L’affetto per un amico non è qualcosa di
cui vergognarsi, sai?”. “Perché dobbiamo parlare di queste cose?”. Lui, come
molti suoi simili, bada alla sostanza. Non indugia, non racconta, non si ferma
a riflettere. Vive l’intensità delle passioni per osmosi, allergico al filtro delle
parole. Forse per questo, quando sulla mia strada ho incontrato la simmetria dei desideri di Eshkol
Nevo, ne sono rimasta folgorata. Perché è un libro capace di raccontare
magistralmente il non detto, di incontrarsi con sapienza nel territorio poco
esplorato dell’amicizia virile. Perché solo quattro amici maschi possono
scandire il tempo delle loro vite con i Mondiali di calcio e restare fedeli a
se stessi e alla loro amicizia grazie alla visione comune delle partite. Perché
solo quattro amici maschi come i trentenni protagonisti della storia possono
decidere di scrivere quattro desideri su un biglietto ai Mondiali del 1998 e
riuscire a tacerli per quattro anni, fino all’appuntamento planetario
successivo. Solo quattro maschi riescono a gestire insieme e da soli la misura
del proprio fallimento e dei propri successi, nascosta tra le pieghe di un
foglio di carta scribacchiato. Sullo sfondo ci sono le loro vite, i loro
progetti, i loro amori, i loro sogni e le loro lacrime, il loro paese – Israele
– logorato dai conflitti che ha fatto della repressione e della rimozione uno
stile di vita, come talvolta succede agli uomini. La simmetria dei desideri mi ha insegnato la potenza e la
complessività cristallina dell’amicizia tra i maschi, regalandomi uno squarcio
luminoso sulla reticenza dei miei figli e sull’ispido splendore dei loro
legami.
Claudia de
Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 5 maggio 2018 -
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