Le biografie di René De Ceccatty, ultima quella di Elsa Morante uscita otto anni dopo
quella di Alberto Moravia, riportano in una Roma nel frattempo cancellata. Non
proprio sparita. Ne è rimasta una traccia sul foglio sgualcito della memora.
Via dell’Oca, via del Babuino , piazza di Spagna. Sono un prezioso angolo della
città che ti è stata familiare e che adesso stenti a riconoscere. Lo spazio
scenico non è mutato, ma si ha l’impressione che sia stato invaso da quel che
era annidato tra le quinte. Come se vi avessero rovesciato tutto quello che per
rispetto dei luoghi e degli uomini era tenuto nascosto. Automobili e turisti
non hanno invaso, sommerso, soltanto il selciato: hanno ucciso l’anima di
quella Roma dall’aspetto provinciale e ricca di idee e di passioni che ho
conosciuto. Mi riferisco agli anni Sessanta quando i protagonisti della vita
letteraria si muovevano in quel nobile villaggio di cui erano i privilegiati
abitanti. Non era
la “repubblica di Moravia” come Saint
Germain-des-Près era la “repubblica di Sartre”. Non solo perché Roma non era
Parigi. Alberto Moravia era un borghese laico e come tale descriveva la
borghesia con toni severi, sprezzanti, secondo una vecchia tradizione. Era un
intellettuale che si con
Cedeva con misura. Elsa Morante era più
generosa, più aperta, era moto presa dalle sue passioni e dai suoi romanzi.
Morante era più autentica. Ci si sta dimenticando di Moravia. Il suo “Agostino”
e gli “Indifferenti” sono romanzi che hanno lasciato un segno nelle nostre
adolescenze borghesi. I romanzi di Elsa Morante, “Menzogna e sortilego” e
“L’isola di Arturo”, hanno lasciato molto più di un segno. Ho accennato a Sarte. In quegli anni, quando era ancora in corso la guerra d’Algeria, lui
veniva spesso a Roma con Simone de Beauvoir. Veniva “a riprendere fiato”, mi
disse un giorno in piazza Navona, dove la mattina leggeva i giornali, in
particolare la cronaca nera di France Soir. È vero, a Roma si respirava. Attorno a Moravia si muoveva una corte: Enzo Siciliano avrebbe potuto pretendere al titolo
di gran ciambellano e Pier Paolo Pasolini a quello di figlio prediletto. C’era
chi usava espressioni più crude per definire il mondo attorno a Moravia. Da
Parigi, dove viveva, Italo Calvino non guardava con simpatia quel mondo. Né era
guardato con simpatia da coloro che sentivano il suo distacco. Le cene
riunivano spesso persone estranee allo stretto giro di Moravia. Natalia Ginzburg
vi partecipava creando una suspense sul momento in cui avrebbe reclinato la
testa e si sarebbe addormentato prima della frutta o verso il secondo piatto? “La noia”, romanzo premiato dalle critiche e dalle vendite, precedette di poco la
separazione dei due scrittori non per motivi di lavoro o dispute letterarie, ma
per un peggioramento dei rapporti coniugali. Già da tempo allentati. E si
arrivò a una separazione. La quale non passo inosservata perché Moravia lasciò
il duplex di via dell’Oca alla Morante e andò ad abitare sul lungotevere della
Vittoria. La sua relazione con Dacia Maraini si era intensificata. Noi del
quartiere-villaggio ci rendemmo subito conto dei cambiamenti avvenuti. Elsa
comprò un piccolo appartamento in via del Babuino e chi si affacciava sulla
stessa strada cominciò a vederla spesso. Con lei il giovane americano del
Kentucky, Bill Morrow, del quale era innamorata. La storia finì in tragedia
perché il pittore si gettò due anni dopo da un grattacielo di New York. Il
suicidio ferì profondamente la Morante. E noi del villaggio partecipammo al suo
dolore. A questo punto mi chiedo cosa mi spinga, più di mezzo secolo dopo, a
ripercorrere una vecchia cronaca intima alla quale non mi sono mai interessato
quando era attuale. Il proposito è di illustrare come Roma fosse un villaggio e
fosse quindi possibile seguire le vicende di quella che chiamo la tribù degli
scrittori. Pier Paolo Pasolini non viveva in centro. Abitava, come Attilio
Bertolucci, a Monteverde Vecchio. Il figlio del grande poeta, Bernardo, appena
ventenne, allora spesso in compagnia di Adriana Asti, mi ricordava il padre. Al
quale dovevo, devo ancora, tante letture che come professore di lettere
consigliava a mio fratello suo allievo, e che io più giovane divoravo.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori –
L’Espresso – 27 maggio 2018 -
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