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martedì 29 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Quando a Roma si respirava...


Le biografie di René De Ceccatty, ultima quella di Elsa Morante uscita otto anni dopo quella di Alberto Moravia, riportano in una Roma nel frattempo cancellata. Non proprio sparita. Ne è rimasta una traccia sul foglio sgualcito della memora. Via dell’Oca, via del Babuino , piazza di Spagna. Sono un prezioso angolo della città che ti è stata familiare e che adesso stenti a riconoscere. Lo spazio scenico non è mutato, ma si ha l’impressione che sia stato invaso da quel che era annidato tra le quinte. Come se vi avessero rovesciato tutto quello che per rispetto dei luoghi e degli uomini era tenuto nascosto. Automobili e turisti non hanno invaso, sommerso, soltanto il selciato: hanno ucciso l’anima di quella Roma dall’aspetto provinciale e ricca di idee e di passioni che ho conosciuto. Mi riferisco agli anni Sessanta quando i protagonisti della vita letteraria si muovevano in quel nobile villaggio di cui erano i privilegiati abitanti. Non era la “repubblica di Moravia” come Saint Germain-des-Près era la “repubblica di Sartre”. Non solo perché Roma non era Parigi. Alberto Moravia era un borghese laico e come tale descriveva la borghesia con toni severi, sprezzanti, secondo una vecchia tradizione. Era un intellettuale che si con
Cedeva con misura. Elsa Morante era più generosa, più aperta, era moto presa dalle sue passioni e dai suoi romanzi. Morante era più autentica. Ci si sta dimenticando di Moravia. Il suo “Agostino” e gli “Indifferenti” sono romanzi che hanno lasciato un segno nelle nostre adolescenze borghesi. I romanzi di Elsa Morante, “Menzogna e sortilego” e “L’isola di Arturo”, hanno lasciato molto più di un segno. Ho accennato a Sarte. In quegli anni, quando era ancora in corso la guerra d’Algeria, lui veniva spesso a Roma con Simone de Beauvoir. Veniva “a riprendere fiato”, mi disse un giorno in piazza Navona, dove la mattina leggeva i giornali, in particolare la cronaca nera di France Soir. È vero, a Roma si respirava. Attorno a Moravia si muoveva una corte: Enzo Siciliano avrebbe potuto pretendere al titolo di gran ciambellano e Pier Paolo Pasolini a quello di figlio prediletto. C’era chi usava espressioni più crude per definire il mondo attorno a Moravia. Da Parigi, dove viveva, Italo Calvino non guardava con simpatia quel mondo. Né era guardato con simpatia da coloro che sentivano il suo distacco. Le cene riunivano spesso persone estranee allo stretto giro di Moravia. Natalia Ginzburg vi partecipava creando una suspense sul momento in cui avrebbe reclinato la testa e si sarebbe addormentato prima della frutta o verso il secondo piatto? “La noia”, romanzo premiato dalle critiche e dalle vendite, precedette di poco la separazione dei due scrittori non per motivi di lavoro o dispute letterarie, ma per un peggioramento dei rapporti coniugali. Già da tempo allentati. E si arrivò a una separazione. La quale non passo inosservata perché Moravia lasciò il duplex di via dell’Oca alla Morante e andò ad abitare sul lungotevere della Vittoria. La sua relazione con Dacia Maraini si era intensificata. Noi del quartiere-villaggio ci rendemmo subito conto dei cambiamenti avvenuti. Elsa comprò un piccolo appartamento in via del Babuino e chi si affacciava sulla stessa strada cominciò a vederla spesso. Con lei il giovane americano del Kentucky, Bill Morrow, del quale era innamorata. La storia finì in tragedia perché il pittore si gettò due anni dopo da un grattacielo di New York. Il suicidio ferì profondamente la Morante. E noi del villaggio partecipammo al suo dolore. A questo punto mi chiedo cosa mi spinga, più di mezzo secolo dopo, a ripercorrere una vecchia cronaca intima alla quale non mi sono mai interessato quando era attuale. Il proposito è di illustrare come Roma fosse un villaggio e fosse quindi possibile seguire le vicende di quella che chiamo la tribù degli scrittori. Pier Paolo Pasolini non viveva in centro. Abitava, come Attilio Bertolucci, a Monteverde Vecchio. Il figlio del grande poeta, Bernardo, appena ventenne, allora spesso in compagnia di Adriana Asti, mi ricordava il padre. Al quale dovevo, devo ancora, tante letture che come professore di lettere consigliava a mio fratello suo allievo, e che io più giovane divoravo.
Bernardo Valli – Dentro E Fuori – L’Espresso – 27 maggio 2018 -

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