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lunedì 28 maggio 2018

Lo Sapevate Che: Il Poeta che amava il popolo...


Sapeva Parlare del popolo senza essere populista. Raccontava i lavoratori nella loro quotidiana fatica, ma non era marxista né seguace di una dottrina per cui la classe operai avrebbe un giorno trasformato il mondo e reso l’umanità libera e felice. Era cristiano credente, convinto che la storia della crocifissione fosse stata una storia di vera remissione di colpa, ma era lontano dal Verbo in versione clericale. Quando se ne va un maestro – ed Ermanno Olmi, scomparso il 7 maggio era un vero maestro del pensiero, non solo del cinema – si dice che lascia un vuoto incolmabile. Una frase banale? Forse, ma non per questo meno vera. Olmi era consapevole della propria grandezza ed eccezionalità e tuttavia a parlargli ci si trovava davanti a una persona umile e disponibile, convinta delle proprie ragioni ma mai tentata di imporle all’interlocutore. E, soprattutto, in un’epoca in cui spesso, nell’ambito della cultura, viene posta una secca alternativa tra eccellenza (roba per élite, secondo i populisti) da un lato e ricerca di popolarità (tv spazzatura, secondo le élite) dall’altro, il regista nato a Bergamo, cresciuto a Treviglio e ritiratosi negli ultimi anni sull’altopiano di Asiago, sosteneva che si potesse al contempo fare eccellenza e parlare al popolo e del popolo. Sia permessa una parentesi personale. Anni fa a Gavoi, in Sardegna, sede di un bel festival di letteratura, Olmi mi chiese di mettermi al suo tavolo, nel giardino dell’albergo. Dirigevo allora le pagine di cultura di questo settimanale. E senza preamboli, mi disse, appunto questo: va bene l’eccellenza, va bene la ricerca, ma non ti dimenticare del popolo, Per me fu una lezione di vita (e non solo di mestiere). Infatti, lui faceva film dove la ricerca formale ed estetica diventava una presa di posizione etica, esistenziale e politica ma che narravano storie di persone semplici. A partire, come si diceva prima, dal lavoro. Nel film “Il posto”, girato nel 1961 e spesso considerato un’opera in continuità con il neorealismo (non lo è; è invece l’inizio di un percorso personale di Olmi) si racconta la storia di un uomo e una donna in una Milano del boom, alla ricerca di un lavoro ma anche dei sentimenti. Ma, per dirla brutalmente, la vita cittadina, il lavoro “alienato” (direbbero i marxisti) comportano tristezza e morte del desiderio. E ancora, in “Milano 83” un film che nelle intenzioni dei committenti avrebbe dovuto celebrare la Milano godereccia e spensierata anticipatrice di quel fenomeno post-moderno che possiamo definire come l’abolizione del tempo (la vita è solo un presente), Olmi mette la sua cinepresa al servizio di coloro che lavorano di notte. Il regista comincia il racconto dallo spettacolo alla Scala per poi mostrare il popolo grazi al quale i signori possono esibire la loro eleganza. Tutto questo senza demagogia e con serenità d’animo e delle immagini. De “L’albero degli zoccoli” (1978), infine, è stato detto tutto; dall’accusa di apologia di un mondo chiuso (i contadini) all’esaltazione della fedeltà alla terra. In un’intervista all’Espresso, qualche anno fa, Olmi disse che la zolla non tradisce. E ribadiva la sua diffidenza verso le città fatte di soli commerci. Ma poi era un uomo eclettico, con tratti di cosmopolitismo, in una recente conversazione con Gad Lerner esaltava l’Europa come una patria comune di tanti popoli. E del resto, sempre con L’Espresso si definiva “ebreo”, perché il cristianesimo secondo lui era solo un ramo di quell’albero che era appunto l’ebraismo; un modo per dire: ci tengo alle radici, ma guardo altrove.
Wlodek Goldkorn – Cultura – L’Espresso – 13 maggio 2018 –

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